La situazione dei palestinesi nella striscia di Gaza (ma anche in Cisgiordania), è sempre più drammatica...
Sudan: mille morti e una guerra in corso

C’è solo un sopravvissuto nel villaggio di Tarasin, sulla catena vulcanica dei monti Marra in Darfur: domenica scorsa una violenta frana, dovuta alle abbondanti piogge, ha trascinato via con sé nel fango, e ucciso, oltre mille persone, cancellando in un solo colpo l’intero centro abitato. La gente è sola. Le foto, un video della calamità naturale e la costernazione dei pochi soccorritori privi di mezzi, giunti sul posto, sono stati pubblicati su X da Sudan News e dal Sudan liberation movement, la milizia che combatte per liberare il Darfur dalle Rapid support forces. “La cosa più terribile è che la popolazione è lasciata completamente sola”; “qui non esiste alcuna struttura dello Stato. Tanto che i ribelli fanno anche le veci dell’amministrazione pubblica, ma di certo non ne hanno i mezzi”, ci spiega al telefono il comboniano fratel Antonio Soffientini, che vive in Italia ma conosce bene, per il tramite dei propri confratelli, la devastazione del Sudan in guerra. Appello inconsueto. Stamani in un comunicato, Abdul Wahid Nour, capo dell’esercito di Liberazione, ha rilasciato una dichiarazione e un appello alle Nazioni Unite: “Le comunità locali, il popolo sudanese e il mondo intero hanno seguito con profondo sconvolgimento emotivo il disastro del 31 agosto scorso a Tarasin”. “La richiesta di aiuto alle Nazioni Unite è un altro elemento che mi colpisce molto – commenta con noi fratel Antonio –. Perché immagino l’impotenza della milizia ribelle che addirittura per la prima volta o quasi, si rivolge all’Onu per recuperare almeno i corpi”. Bombe e fame. L’area è quella di Umo, sulle Jebbel Marra centrali, ma è anche la stessa regione di el-Fasher, città assediata a un centinaio di chilometri da lì, che da più di 500 giorni vive l’incubo dell’occupazione militare da parte delle Rapid support forces. Per i civili sudanesi in trappola sembra non esserci via di scampo né dentro né fuori el-Fasher:nella, città occupata, imperversano i paramilitari che sganciano bombe su uomini, donne e bambini, e usano la fame per sfiancarli; fuori da el-Fasher, per un assurdo accanimento della natura, piogge, cambiamenti climatici e fragilità dei terreni, provocano disastri come quello di Tarasin. Tutto raso al suolo. “La frana catastrofica – prosegue il militare nel suo comunicato –, innescata dalle forti piogge, ha completamente distrutto il villaggio, rimuovendolo dalla faccia della terra”. E in effetti, guardando le foto scattate ad una certa distanza, a diverse ore dalla tragedia, è evidente che un intero costone della montagna è venuto giù seppellendo tutto ai suoi piedi. Non resta che una profonda buca. Ma è altrettanto evidente che la fragilità delle abitazioni e la povertà del villaggio, dove si erano riversate centinaia di persone in fuga dalla guerra, hanno contribuito al disastro. Un esercito spietato. “Il Darfur è già molto provato dalla guerra che praticamente si è spostata tutta qui, perché Khartoum è tornata sotto il controllo dell’esercito regolare, e così molte altre parti del Paese, ma non questa”, dice ancora fratel Antonio Soffientini. La scarsa resistenza delle infrastrutture (praticamente inesistenti) e delle capanne, messe a dura prova dalle piogge, non ha alcuna tenuta. Tutto questo, scrive ancora l’esercito di liberazione, “richiede un lavoro di coordinamento che metta insieme diversi attori, a livello locale, regionale e internazionale, per tirare fuori i corpi dai detriti rocciosi”. D’altra parte, le Rapid support forces, esercito parallelo che dal 2023 combatte contro quello regolare guidato dal generale al Burhan, sono particolarmente spietate in Darfur e non passa giorno senza che le agenzie Onu e le organizzazioni umanitarie, come Medici senza frontiere, non segnalino decine di morti e feriti.Qui come a Gaza... Dall’11 agosto ad oggi le Nazioni Unite hanno documentato la morte di almeno 125 persone, tramite esecuzioni sommarie e decessi per fame. L’ultimo attacco è di pochi giorni fa, in un mercato. “Il Segretario generale dell’Onu è allarmato per i gravi rischi di serie violazioni del diritto internazionale umanitario e di abusi che includono quelli etnicamente motivati”, ha dichiarato il portavoce, Stéphane Dujarric. Inoltre la popolazione di el-Fasher da alcuni mesi è chiusa all’interno di una recinzione, un vero e proprio muro che le Rapid support forces stanno costruendo attorno alla città e che al 27 agosto misurava già 31 chilometri, e cresce di giorno in giorno. L’arma dell’assedio, della fame e delle bombe è la stessa usata in altri contesti di guerra spietata come a Gaza: la strategia è quella di stroncare la resistenza dei civili, i quali vengono privati della legittima assistenza umanitaria da parte della comunità internazionale. Anche nel Darfur l’Onu parla di “pulizia etnica” ma i paramilitari negano ogni accusa.