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Lavoro povero, conferma dalle Acli: in Veneto l’8% guadagna meno 726 euro al mese

Il lavoro povero è ormai un’emergenza nazionale. E, numeri alla mano, ancor più veneta: nella nostra regione 8 lavoratori su 100 guadagnano meno di 726 euro al mese. Il dato, in parte sorprendente, emerge da “Un lavoro non basta”, la ricerca sui lavoratori a basso reddito realizzata dall’Iref, l’istituto di ricerca delle Acli nazionali. Elaborando a livello nazionale i dati di quasi 800mila 730 presentati nel 2024 attraverso Caf Acli (riferiti quindi ai redditi 2023), IREF certifica come il 7,6% dei lavoratori dipendenti abbia un reddito inferiore ai 8.718 euro all’anno. Appunto 726 euro al mese, soglia quest’ultima individuata incrociando vari parametri Istat e sotto la quale il reddito da lavoro è insufficiente al sostentamento di un individuo che vive da solo.
A livello nazionale si tratta di un aumento del 55% negli ultimi dieci anni, visto che nel 2014 i lavoratori a basso reddito erano il 4,9%. E in Veneto la percentuale si alza al 7,9%. “Un dato – sottolinea Cristian Rosteghin, presidente delle Acli del Veneto – che interroga il nostro territorio e che sfata in parte il mito dello sviluppo e del benessere generalizzato collegato alla nostra regione”. La preoccupazione sale considerando che l’indagine ha riguardato solo i soggetti tra i 18 e i 59 anni che hanno lavorato per almeno 9 mesi. “Allargando il campione ai lavoratori stagionali impiegati per pochi mesi l’anno, con una situazione reddituale quindi ancor più precaria, l’allarme suonerebbe ancora più forte. Non siamo ai livelli delle regioni del Sud, dove si toccano picchi ben oltre il 15%. Ma considerando il diverso costo della vita, siamo davanti ad una vera e propria emergenza”.
Analizzando i dati per provincia, solo Belluno si “salva”, con un dato sotto la media nazionale (6,8%). Il dato peggiore è quello di Venezia (9,4%), che sconta probabilmente l’incidenza di lavori poco qualificati e altrettanto poco pagati legati al settore turistico. Ma ci sono altri dati che fanno riflettere. “A livello nazionale – spiega Rosteghin – ci sono forti diseguaglianze generazionali e di genere, che tornano anche nella nostra regione. Nella fascia 19-30 anni i lavoratori poveri sono addirittura uno su cinque (19,8%), mentre tra le donne sono l’11,1%, ben oltre il doppio degli uomini (4,4%)”.
A preoccupare sono soprattutto le conseguenze dal punto di vista sociale. “Questi dati hanno mille implicazioni. Non si può parlare di crisi della famiglia e della natalità senza partire dai dati sul reddito che riguardano i giovani e le donne. Così come allarma il collegamento tra povertà economica e povertà sanitaria. I lavoratori veneti a basso reddito hanno detratto spese sanitarie per 640 euro, contro i 1.109 di coloro che hanno redditi superiori. Alla fine come sintetizza perfettamente un capitolo della ricerca, si è costretti a far finta di essere sani”.
“Il lavoro – conclude Rosteghin – è stato dagli anni Cinquanta in poi un caposaldo del riscatto e della crescita del benessere delle nostre comunità. Proprio per questo, dobbiamo riportare al centro dell’agenda politica e sociale il tema del lavoro buono, del lavoro dignitoso. Un lavoro che sia davvero occasione di sviluppo, individuale e comunitario. Altrimenti diventerà davvero difficile immaginare il futuro del Veneto”.