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Fame e migrazioni, situazione catastrofica
Lo scorso 17 ottobre l’Alto commissario per i diritti umani, Volker Türk, ha presentato a New York, all’Assemblea generale Onu, il rapporto annuale sullo stato dei diritti umani e ha affermato che “si prevede che il numero di persone che soffrono di livelli catastrofici di fame raddoppierà nei prossimi mesi”, rimarcando che “la fame dei civili come metodo di guerra è proibita dal diritto internazionale umanitario e costituisce un crimine di guerra”.
Il rapporto tiene conto della classificazione Ipc - sviluppata 20 anni fa, congiuntamente alla Fao - al fine di determinare la gravità e l’entità dell’insicurezza alimentare e delle situazioni di malnutrizione acuta e cronica in un paese, secondo standard scientifici riconosciuti a livello internazionale.
Abbiamo raggiunto nella sede di Ginevra Thameen Al-Kheetan, uno dei portavoce dell’Ufficio dell’Alto commissariato, per approfondire alcune questioni che suonano come campanelli d’allarme per la comunità internazionale.
Nel presentare il suo rapporto annuale l’Alto commissario, ha sottolineato che raddoppieranno nei prossimi mesi “il numero di persone che soffrono di livelli catastrofici di fame” e che “il rischio di carestia persiste in tutta Gaza”. Cosa può fare la comunità internazionale?
Come ha sottolineato l’Alto commissario, i risultati dell’Ipc sono più che terrificanti. Tra settembre e ottobre 2024, l’intero territorio della Striscia di Gaza è classificato nella fase Ipc 4 (emergenza). Circa 1,84 milioni di persone nella Striscia di Gaza stanno vivendo alti livelli di insicurezza alimentare acuta classificata nella fase Ipc 3 o superiore (ovvero un livello di crisi o peggiore). Ciò è principalmente la conseguenza delle decisioni prese dalle autorità israeliane, che impongono restrizioni all’ingresso e all’accesso agli aiuti umanitari, allo sfollamento della maggior parte della popolazione e alla distruzione diffusa di infrastrutture civili cruciali. Il mondo non può permettere che ciò continui. Gli aiuti umanitari devono poter entrare nella Striscia di Gaza in quantità sufficienti e devono essere distribuiti all’intera popolazione. Deve esserci un cessate il fuoco. Continuiamo a sollecitare tutti gli Stati che hanno influenza sulle parti in conflitto a fare tutto il possibile per raggiungere un cessate il fuoco e consentire che cibo e beni di prima necessità raggiungano coloro che ne hanno bisogno.
Spostandoci in Libano, in Yemen, in Sudan gli scenari sono simili e sembrano intrecciarsi. Ne conviene?
Chiaramente, anche le popolazioni civili in Libano, Yemen e Sudan hanno bisogno di cibo e assistenza umanitaria. Questa deve essere fornita in quantità sufficienti. Le parti in conflitto hanno l’obbligo, ai sensi del diritto umanitario internazionale, di consentire e fornire percorsi sicuri per la distribuzione degli aiuti umanitari. Più in generale, siamo preoccupati perché vediamo che l’edificio dei diritti umani, costruito con tanta fatica dopo le atrocità della seconda guerra mondiale, sta iniziando a erodersi. Non dovremmo mai abituarci all’idea che la guerra sia la risposta a tutto.
In che modo, la società civile dovrebbe mobilitarsi a livello globale, per fare pressione sui leader mondiali affinché fermino il rumore assordante delle armi?
La società civile e i difensori dei diritti umani svolgono un ruolo importante ovunque, nel richiamare l’attenzione sulle violazioni e nel chiedere il rispetto dei diritti umani. I leader mondiali e i decisori dovrebbero ascoltare i loro appelli, e agire di conseguenza.
Türk ha affermato: “Il modo in cui una società tratta i più vulnerabili, è un indicatore chiave del progresso”. Potrebbe essere spiegato meglio questo concetto, anche alla luce del fallimento della deportazione dei migranti in Albania, da parte dell’Italia?
Migranti, rifugiati e richiedenti asilo si trovano spesso in situazioni vulnerabili. Politiche e pratiche volte a limitare, piuttosto che a governare, la migrazione rendono migranti e rifugiati più vulnerabili alle violazioni e agli abusi dei diritti umani. L’accesso limitato ai percorsi di migrazione regolari, comprese le opportunità di regolarizzazione, spesso lascia gli individui in situazioni di estrema vulnerabilità, esponendoli a viaggi pericolosi e mettendo a rischio la loro vita, sicurezza e dignità. Abbiamo già espresso le nostre preoccupazioni in merito agli accordi che prevedono il trasferimento di migranti e richiedenti asilo in uno Stato terzo. I trasferimenti per condurre procedure di asilo e rimpatrio possono sollevare importanti questioni sui diritti umani, in particolare per quanto riguarda la libertà dalla detenzione arbitraria, adeguate procedure di richiesta di asilo, come screening e identificazione, e condizioni di vita.
La questione dei migranti è stata al centro della campagna elettorale americana, e non solo. Anche in Europa stanno trovando consenso partiti e movimenti contro i migranti. Dove temete di più che il rispetto dei diritti umani dei migranti possa essere in pericolo?
Siamo davvero preoccupati dalla retorica, disumanizzante e dannosa, che dipinge migranti e rifugiati come capri espiatori, per le sfide sociali durante le campagne elettorali, e oltre. Queste narrazioni provocano ostilità e violenza contro le persone in movimento e normalizzano idee alimentate dall’odio. Una leader-ship politica fondata sui diritti umani e sul dibattito basato sulle prove è l’antidoto a tutto questo.
Al summit sul Futuro di fine settembre, Türk aveva invitato i decisori politici, dai sindaci locali ai capi di Stato, a garantire che le decisioni attuali tengano conto dell’impatto futuro sui diritti umani. Come mai questa forte preoccupazione?
Abbiamo notato che i diritti umani fondamentali, concordati sulla scia della seconda guerra mondiale, vengono sempre più ignorati in molti ambiti, dalle nuove tecnologie ai conflitti armati. L’appello dell’Alto commissario è che tutti tornino ai diritti umani e li pongano al centro del processo decisionale, dello sviluppo e della risoluzione dei conflitti. E’ fondamentale garantire che ogni decisione tenga conto del suo impatto sui diritti umani, sul nostro pianeta e sulle generazioni future.