mercoledì, 18 giugno 2025
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La speranza tra i rifiuti delle baraccopoli di Nairobi

Il racconto di Elisabetta Vitali dagli “slum” di Korogocho e Deep Sea, in Kenya

Una distesa infinita di baracche, una attaccata all’altra a ridosso (e dentro) la discarica più grande di Nairobi. Dal terreno esalano fumi densi “come se ci fosse una combustione, un inizio di incendio”. Tra le immondizie cresciute a dismisura, strato su strato fino a formare montagne, sorgono le baracche dello slum più famoso della capitale, assieme a quello di Kibera. Siamo a Korogocho, la baraccopoli raccontata tante volte. Eppure mai abbastanza. Un chilometro quadrato e mezzo di terreno gommoso e ondeggiante, fatto di rifiuti provenienti da tutta la città, dove vivono tra le 150 e le 200 mila persone.

Lì dentro, i ragazzini e gli adulti si immergono ogni giorno per estrarre pezzi di plastica, vestiti riciclati, vecchi televisori, mobili da rivendere in strada. “Se getti lo sguardo oltre l’orizzonte vedi ancora e solo la discarica: la sua estensione è immensa! È entrata oramai a far parte del paesaggio della periferia urbana”. A raccontarci il suo recente viaggio in Kenya, tra Korogocho e Deep Sea (altra baraccopoli ai margini di Nairobi), è Elisabetta Vitali(nella foto), segretaria nazionale di Missio giovani, sezione under 30 della fondazione Missio.

Hope, che vive nel Deep Sea

Ma, nonostante povertà e disagio, persino dallo slum è possibile risorgere, rendendo concreta la speranza. Lo racconta bene la storia di Hope (speranza per l’appunto), una ragazza di Deep Sea che Elisabetta ha conosciuto grazie a fra’ Ettore Marangi, frate francescano della seconda baraccopoli keniana. “Hope sta studiando all’università per diventare maestra - ci racconta la sua coetanea -; è molto matura e responsabile per la sua età e perciò ha il ruolo di guidare i più piccoli incoraggiandoli nello studio”. Hope è un esempio di “riscatto sociale: un segno per gli altri perché fa capire che ci sono diverse strade da percorrere”, dice la segretaria di Missio giovani. Fra’ Ettore è convinto che “nascere in baracca non significhi rimanerci per sempre”. Egli afferma che “la baraccopoli non è una condanna alla miseria per tutta la vita”. La chiave è trovare il modo di invertire il destino dei più giovani.

Per dare lavoro ai ragazzi

Ne è un esempio il progetto di resort e ristorante - il Kijiji Village Emali - realizzato da Maria Antonietta Pignataro di Huipalas, onlus legata ai Cappuccini, mettendo assieme missione e cooperazione. Il fine è dare lavoro ai ragazzi di Korogocho che, grazie a Maria Antonietta, hanno imparato a usare il forno, a fare la pizza e accolgono i turisti e gli expat di Nairobi. Tuttavia, per chi arriva per la prima volta nello slum, l’impatto resta scioccante: “La prima cosa che si sente appena arrivati - racconta Vitali - è il fortissimo e terribile odore di rifiuti. Sembrava ci fosse un incendio, ma in realtà erano i fumi delle reazioni chimiche generate dai rifiuti che formano gas nocivi”. I gas inquinano e, alla lunga, uccidono: “Le persone costruiscono la loro baracca di lamiera, cartoni e terra dentro la discarica e respirano veleni”.

Dove si vive con meno di un dollaro

Infine, c’è la grande allegria dei bambini delle scuole e la gioia che in Africa non viene mai meno: “Siamo arrivati nella scuola elementare all’ora di pranzo: centinaia di bambini facevano ordinatamente la fila per prendere il loro piatto di chapati (focaccina) e lenticchie”, ricorda Elisabetta. Duecentomila abitanti vivono a Korogocho: sono di etnia Kikuyu, Luo, Luhya e Kamba, in gran parte comunità emigrate dalle aree rurali in cerca di migliori opportunità di vita, rimaste però intrappolate nel limbo (o nell’inferno) degli slum. Lì dentro si sopravvive con meno di un dollaro al giorno e tutte le attività economiche ruotano attorno alla grande discarica a cielo aperto. Una “fabbrica della povertà” dalla quale si estrae tutto ciò che la grande città butta via, dicono i report di “Nature”. Ciò che i ricchi di Nairobi e i molti occidentali del Kenya gettano nei cassonetti finisce nel dum, e viene raccolto, riciclato, rivenduto, alimentando una economia informale che tiene in piedi l’esercito dei più poveri di Nairobi.

Il ruolo dell’istruzione

“Fortunatamente i nostri missionari riescono ad andare nello slum per le messe della domenica, per portare un po’ di sollievo e, dove è possibile, sviluppo umano”, dice Vitali. Padre Mario Sala Danna e padre Jean-Paul Katembo Muhandiro, sono i due comboniani (un terzo è padre Otien Oduor) che vivono appena fuori dallo slum e si occupano di ogni necessità, dentro Korogocho.

La cosa interessante è che riescono a fornire un’ottima istruzione ai bambini: sono riusciti anche a farsi donare un certo numero di tablet, in modo tale che anche nello slum si imparino a usare internet e le nuove tecnologie. La formazione per i più poveri non deve essere di minor qualità, sostengono i religiosi: “Anche nello slum si può e si deve avere l’opportunità di imparare al meglio”.

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10/04/2025

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