La situazione dei palestinesi nella striscia di Gaza (ma anche in Cisgiordania), è sempre più drammatica...
Nazioni Unite “fuori gioco”

L’80ª Assemblea generale delle Nazioni Unite è iniziata la scorsa settimana a New York, dove si riuniranno fino a fine mese i leader mondiali per un susseguirsi di discorsi, mentre l’Istituzione - nata sulle ceneri della Seconda guerra mondiale - si trova ad affrontare un crescente ruolo marginale sulla scena mondiale.
L’incontro annuale giunge in un momento di particolare resa dei conti, segnato, non da ultimo, da tensioni interne per il taglio ai finanziamenti al suo funzionamento da parte degli Stati Uniti, dalla crescente indignazione internazionale per la guerra in corso di Israele a Gaza e dalla crescente urgenza, per i Paesi non occidentali, di esercitare maggiore influenza a livello decisionale.
In questo scenario “caldo”, solo alcune questioni verranno portate nelle riunioni e discorsi al Palazzo di Vetro. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella sua recente visita in Slovenia, ha ricordato come nel luglio del 1914 in cui “nessuno voleva, forse, la guerra, ma alla guerra mondiale si arrivò”. Il Capo dello Stato ha chiosato “quello che allarma è che ci muoviamo su un crinale”, per cui “anche senza volerlo si può scivolare in un baratro di violenza incontrollabile”. Ripercorriamo brevemente le principali questioni sul tappeto.
“Davide” indomabile. La guerra di Israele a Gaza, iniziata in seguito agli attacchi guidati da Hamas il 7 ottobre 2023, ha in gran parte definito l’ncontro dell’anno scorso.
Con i continui attacchi di Israele e le atrocità delle scorse ore, che continuano sulla popolazione inerme di Gaza City, si prevede che la guerra sarà al centro del dibattito generale anche quest’anno, con l’attesa rivolta a diversi Paesi che hanno recentemente riconosciuto (Belgio, Francia, Malta, Lussemburgo) o si sono impegnati a riconoscere uno Stato palestinese (Australia, Canada, Gran Bretagna).
Anche se il riconoscimento della Palestina come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite richiederebbe l’approvazione del Consiglio di sicurezza, una mossa che quasi sicuramente incontrerebbe il veto degli Stati Uniti, la scelta di questi Paesi avrà un impatto simbolicamente significativo sulle relazioni internazionali e aumenterà la pressione su Washington, perché si impegni realmente a portare la pace in quest’area. Fin qui, Trump ha cercato di giocare di sponda con il suo alleato israeliano, vietando l’ingresso ai rappresentanti palestinesi alla 80ª sessione dell’Assemblea generale in corso. Una soluzione territoriale diventa sempre più difficile per la firma del Governo di Tel Aviv del piano - chiamato E1 - che autorizza la costruzione di una nuova colonia che dividerà in due la Cisgiordania: uno dei territori, assieme alla Striscia di Gaza, su cui si dovrebbe basare un eventuale Stato palestinese, e che Israele, da decenni, occupa illegalmente, proprio tramite la costruzione di nuove colonie. Intanto, la Global Sumud Flotilla si sta dirigendo davanti le acque di Gaza per portare aiuti alla popolazione inerme e preoccupa le cancellerie dei Paesi da cui provengono i membri degli equipaggi.
Vecchie alleanze si ricompattano. Per molti Paesi, l’attacco a Doha, capitale del Qatar, del 9 settembre ha segnato il superamento di una “linea rossa” e ha confermato che Israele non vuole un cessate il fuoco a Gaza. L’operazione israeliana ha ricompattato i Paesi arabo-islamici, perché, ora, non si fidano più di Israele e che simili azioni non possano ripetersi. L’aspetto più pericoloso di questo sviluppo è l’espansione geografica del conflitto verso aree finora considerate intoccabili e classificate come zone di stabilità, come il Golfo.
Nella dichiarazione finale di lunedì 15, alla conclusione del vertice straordinario congiunto tra i leader dell’Organizzazione per la cooperazione islamica e la Lega araba per affrontare la situazione a Gaza e nei territori palestinesi occupati e delle aggressioni israeliane ai Paesi arabi, i partecipanti hanno sottolineato che “l’aggressione compromette ogni prospettiva di pace nella regione” e la necessità di porre fine all’occupazione israeliana dei territori palestinesi lungo i confini del 1967 e di liberare la regione dalle armi nucleari. Si fanno, così, sempre più cenere gli Accordi di Abramo, sponsorizzati dagli Stati Uniti per normalizzare i rapporti con Israele - la loro attuazione è stata tra le ragioni politiche dell’attacco del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas - e cresce la frustrazione verso Washington per il sostegno ferreo a Tel Aviv.
Europa (in)difesa. Le incursioni di droni russi della scorsa settimana in Polonia fanno parte della crescente guerra ibrida seguita al conflitto russo-ucraino e hanno l’intento di aumentare il senso di insicurezza in Europa e punire il sostegno all’Ucraina. Solo quattro droni intercettati, su una ventina che hanno violato lo spazio aereo polacco, fanno capire come ci siano molte falle operative nel vecchio Continente, sotto il profilo difensivo.
Sul piano delle relazioni internazionali appare sempre più defilato il peso dell’Europa, come abbiamo visto, sia nel trovare una composizione del conflitto russo-ucraino che nel bloccare finanziamenti ed esportazioni di armi verso Israele. Se si vogliono promuovere alcuni principi fondamentali sulla scena mondiale, non basta affidarsi semplicemente al loro valore morale, ma occorre sostenerli con il proprio peso politico. Oggi il mondo sta diventando più multipolare e meno multilaterale e a riguardo la politica comune europea appare impreparata.
Primavera asiatica? I giovani della Generazione Z dell’Asia meridionale sempre più frustrati per la mancanza di libertà, per la crescente corruzione da parte dell’élite al potere e le difficoltà economiche utilizzano le piattaforme digitali per darsi appuntamenti in piazza. Recentemente, in Sri Lanka, Bangladesh e Nepal i giovani, traditi da sistemi politici non in sintonia con le loro richieste e governati da leader coetanei dei loro nonni, sono riusciti a ottenere il cambiamento senza colpi di Stato militari, con nuovi primi ministri.
Tensioni latenti. Intanto, il mondo sembra aver dimenticato la difficile situazione dei Rohingya che non possono ritornare in Myanmar, o quella della popolazione afghana alle prese con le restrizioni del Governo talebano e il terremoto. Tra India e Pakistan, le tensioni non sembrano ancora sopite e all’orizzonte se ne profilano altre, per il controllo delle acque dei fiumi, così come sta accadendo in queste settimane tra Etiopia, Egitto e Sudan a seguito del completamento della diga sul Nilo Azzurro.