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Nicaragua, Báez, vescovo in esilio: “Vicinanza di Leone XIV luce di speranza per il nostro Paese”

L’ausiliare di Managua, nel 2019, è stato il primo vescovo costretto a lasciare il suo Paese, quando fu accertato che la sua vita era realmente in pericolo. Parla al Sir pochi giorni dopo essere stato ricevuto in udienza da Papa, circa a tre anni dall’ultima intervista pubblica concessa
12/09/2025

“È la prima intervista che concedo da quasi tre anni”. Mons. Silvio José Báez, ausiliare di Managua, è il primo vescovo che è stato costretto a lasciare il suo Paese, su richiesta di Papa Francesco, nel 2019, quando fu accertato che la sua vita era realmente in pericolo, per aver camminato con decisione a fianco del suo popolo, a partire dalle proteste popolari del 2018, presto soffocate dal regime di Daniel Ortega e Rosario Murillo, che da quel momento iniziò a perseguitare la Chiesa cattolica, a tutti i livelli. Dopo di lui, sono stati costretti a lasciare il proprio Paese mons. Rolando José Álvarez, vescovo di Matagalpa e amministratore apostolico di Estelí, dopo una prolungata detenzione; mons. Isidoro Mora, vescovo di Siuna; mons. Carlos Herrera, vescovo di Jinotega e presidente della Conferenza episcopale.

Sono, al momento, 302 leader cattolici costretti all’esilio, espulsi o impossibilitati a esercitare la loro missione pastorale: si tratta, appunto, di 4 vescovi di diocesi nicaraguensi, il nunzio apostolico, 149 sacerdoti, 3 diaconi, 13 seminaristi e 132 religiose.

Lo si legge nella recente nuova edizione, dello studio “Nicaragua: Una Chiesa perseguitata” della legale e attivista Martha Patricia Molina, la quale ha conteggiato 1.010 attacchi diretti, l’espulsione di 302 leader religiosi, il furto di almeno 36 proprietà e il divieto di 16.564 processioni dall’aprile 2018. Una situazione che permane, nonostante il calo di episodi negli ultimi mesi, dovuto non a un cambio di atteggiamento, ma al fatto che c’è ben poco, ormai, nel Paese, da “chiudere” o da “espropriare”.

Biblista di notevole spessore, mons. Báez ha, tra l’altro, studiato il tema del silenzio nella Bibbia. Ma ben conosce anche il valore della denuncia profetica. In questi anni, la drammatica situazione del suo Paese lo ha costretto ad alternare silenzio e denuncia. Ed è “con il cuore” che – pochi giorni dopo essere stato ricevuto in udienza da Papa Leone XIV, assieme ai vescovi Mora ed Herrera –, ha accettato di rispondere alle domande del Sir, che ringrazia, con la Chiesa italiana, per la costante vicinanza al popolo e alla Chiesa nicaraguense.

Ha avuto la possibilità di incontrare Papa Leone. Qual è stata la sua impressione, a livello personale, e sull’importanza per il suo Paese?

È stato un incontro profondamente incoraggiante. Papa Leone XIV è una persona di grande calore, bontà e saggezza. Mi ha colpito la sua preoccupazione per il Nicaragua e in particolare per la situazione pastorale che sta vivendo la gente. La sua vicinanza e la sua sensibilità sono di grande conforto e una luce di speranza per la Chiesa del nostro Paese, in questo momento così difficile che sta vivendo.

Il Papa l’ha confermata vescovo ausiliare di Managua. Cosa significa per lei esercitare questo servizio, per così dire, a distanza?

Essere confermato vescovo ausiliare di Managua è per me un segno di fiducia verso la mia persona e il mio ministero, per cui ringrazio di cuore il Santo Padre. Assumo questa conferma del mio ministero episcopale con grande responsabilità e umiltà, per accompagnare, come pastore, sia i nicaraguensi che si trovano in esilio sia quelli che sono in Nicaragua. La distanza fisica dal mio Paese rappresenta una sfida alla creatività pastorale, ma non un impedimento per accompagnare il mio popolo a partire dal Vangelo. Essere lontani non significa necessariamente essere assenti e sono convinto che non si è dove si hanno i piedi, ma dove si ha il cuore.

Come vive in questo momento la dedizione alla sua Chiesa e al suo popolo?

Vivo la dedizione alla mia Chiesa e al mio popolo con grande impegno e amore. In primo luogo attraverso la preghiera, nella quale ogni giorno porto il Nicaragua davanti a Dio. Nei miei anni di esilio il Signore mi ha mostrato diversi cammini pastorali per svolgere il mio ministero episcopale: accompagnamento spirituale a molti sacerdoti e laici in esilio, visite a varie diocesi degli Stati Uniti per incontrare i nicaraguensi, incontri periodici virtuali con sacerdoti nicaraguensi in esilio e celebrazione della messa domenicale nella parrocchia di Santa Agatha a Miami, trasmessa sui social network.

Cosa significa, in questo Anno giubilare, essere testimoni di speranza per voi nicaraguensi?

In questo Anno giubilare essere testimoni di speranza significa proclamare che Dio cammina con noi anche nella notte più buia. La speranza cristiana non è ottimismo vuoto. In primo luogo, per noi essere testimoni di speranza significa vivere i momenti più difficili, in cui umanamente diventa impossibile capire ciò che Dio vuole da noi, senza dubitare della sua cura e della sua misericordia, come ha scritto Papa Francesco nella Lettera al Nicaragua, del 2 dicembre 2024. Avere speranza, per noi nicaraguensi, significa anche sforzarci, con la grazia di Dio, di costruire percorsi e strutture di dialogo, libertà e fraternità tra di noi, che anticipino la società che tutti sogniamo, e che un giorno riusciremo a costruire.

Quanto è importante il sostegno internazionale? E in particolare quello che arriva attraverso la Chiesa italiana e i suoi mezzi di comunicazione, come lo stesso Sir?

Ogni gesto di solidarietà internazionale, ogni preghiera per il nostro popolo e ogni abbraccio ricevuto da lontano rafforza la nostra speranza che noi nicaraguensi potremo cambiare la realtà attuale del Paese e costruirne una diversa. Sogniamo un Paese in cui, rinunciando a posizioni sociali egoistiche, possiamo condividere i nostri beni e i nostri interessi in pace e giustizia, senza che nessuno si senta escluso o maltrattato, per il proprio modo di pensare. Per raggiungere questo obiettivo, il sostegno internazionale è fondamentale. La solidarietà della Chiesa italiana, Paese che amo tanto e in cui ho vissuto per vent’anni, e di mezzi di comunicazione come Sir, ci incoraggia sapendo che non siamo soli nella nostra lotta per costruire un Paese diverso. È una testimonianza del Corpo di Cristo che apre la strada al Regno di Dio. Chiedo alla Chiesa italiana e ai media solidali come il Sir, di non dimenticare questo piccolo Paese, il Nicaragua. Abbiamo bisogno che preghiate per noi, che accogliate gli esiliati nicaraguensi in fuga dal Paese e che rendiate visibili al mondo le violenze subite dal nostro popolo e le persecuzioni subite dalla nostra Chiesa.

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