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Premio Nobel per la pace: riconosciuto il coraggio civico del Venezuela

Assegnato alla leader dell’opposizione María Corina Machado. L’attivista Jiménez: “L’assegnazione va vista in un contesto ampio: il Comitato norvegese afferma con grande chiarezza che il mondo stesso vive un momento di grandi minacce alla democrazia”
16/10/2025

Una sorpresa per tutti, anche per l’interessata. Il premio Nobel per la pace 2025 va a “una donna che tiene accesa la fiamma della democrazia tra crescente oscurità”, ha proclamato Jørgen Watne Frydnes, presidente del Comitato per il Nobel. Si tratta di María Corina Machado, leader dell’opposizione democratica venezuelana al Governo di Nicolas Maduro. Dopo essere stata esclusa dalla corsa per le elezioni presidenziali del 2024 e dopo la contestata - e non riconosciuta da gran parte della comunità internazionale - vittoria elettorale del presidente uscente, Machado ha scelto di rimanere nel suo Paese, rischiando ogni giorno l’arresto. Lette in filigrana, le motivazioni del premio evidenziano che, se da un lato la destinataria è la coraggiosa leader politica, dall’altro, idealmente, a essere premiato è tutto il popolo venezuelano, che da anni attende di vivere in democrazia e di uscire da una crisi economica e sociale che ha provocato l’esodo di un quarto della popolazione del Paese.

Le speranze del mondo

Moltissime le reazioni, da parte di autorità di tutto il mondo, alla scelta del Comitato norvegese. Tra queste, quelle del segretario di Stato vaticano, il card. Pietro Parolin, che in passato è stato nunzio apostolico a Caracas: “Spero che questa decisione possa davvero aiutare il Paese a ritrovare serenità e la via della democrazia e della collaborazione tra tutti e tra tutte le parti politiche”, le sue parole. L’interessata ha ammesso di aver ricevuto come uno “shock” la notizia, giunta nel cuore della notte, e ha dedicato il premio al suo popolo. Quindi, sui propri profili social, ha scritto: “Siamo alle soglie della vittoria e oggi, più che mai, contiamo sul presidente Trump, sul popolo degli Stati Uniti, sul popolo dell’America Latina e sulle Nazioni democratiche del mondo come nostri principali alleati per raggiungere la libertà e la democrazia”.

Una dedica, quella rivolta a Donald Trump (il quale l’ha chiamata per congratularsi), che non è piaciuta proprio a tutti. In effetti, l’unità dell’opposizione, raggiunta prima delle elezioni sul suo nome, ha faticato a reggere, negli ultimi mesi, e una delle critiche mosse a Machado è, appunto, quella di una vicinanza, da alcuni ritenuta eccessiva, al presidente Usa. Non va dimenticato che l’assegnazione del premio avviene in un momento di grande tensione tra Usa e Venezuela, con le navi statunitensi che, al largo della costa venezuelana, affondano le navi accusate di contribuire al narcotraffico.

Un sì alla democrazia

Resta il fatto che l’assegnazione del Nobel è, di per sé clamorosa, e ha il merito di accendere, mai come oggi, i riflettori sul Paese e sulla mancanza di democrazia e rispetto dei diritti umani. Da Washington dove presiede il Wola (Ufficio di Washington per l’America Latina), offre la sua riflessione Carolina Jiménez Sandoval, attivista di origini venezuelane, che in passato è stata direttrice di Amnesty International per le Americhe e direttrice del Servizio gesuita ai rifugiati del Venezuela. “Questa notizia - afferma - è stata, indubbiamente, una grande sorpresa. L’assegnazione va vista in un contesto ampio: il Comitato norvegese afferma con grande chiarezza che il mondo vive un momento di grandi minacce alla democrazia. A mio avviso, questo Nobel è un riconoscimento alle lotte contro l’autoritarismo”.

Secondo l’attivista, c’è, quindi, un secondo fattore importante: “Oggi, si vive una grande tensione tra Stati Uniti e Venezuela, ma viene fatto presente che il cammino necessario è quello della pace, e la stessa lotta per la democrazia dev’essere pacifica”. Dentro a questi due messaggi di fondo, l’assegnazione del premio a Machado “dà al Venezuela grande speranza. Tutto questo, fa sì che il mondo non si dimentichi del Venezuela. Naturalmente, il premio Nobel non può rappresentare, da solo, la soluzione, ma esso è un elemento importante dentro a una catena di eventi che ancora non hanno visto la propria conclusione. C’è una lotta in corso, che non è ancora finita, e il Nobel è un riconoscimento importante”. Jiménez Sandoval è tra coloro che non apprezzano il riferimento esplicito fatto da Machado a Trump: “Credo sarebbe stato meglio che fosse dedicato solo al suo popolo. Io, tra l’altro, vivo a Washington, e so quello a cui sto assistendo in questi mesi. La democrazia non è mai un fatto scontato e acquisito, lo vediamo anche in molti Paesi europei, dove si affermano movimenti anti-democratici. Dopo di che, capisco che ci sia una parte dell’opposizione che le ha tentate tutte, e di fronte a una situazione disperata, è comprensibile cercare appoggi esterni”.

A congratularsi con Machado è anche Oscar Murillo, coordinatore generale dell’ong Provea (Programma venezuelano di educazione e azione per i diritti umani): “Questo è un riconoscimento al coraggio civico di fronte alla repressione e alla criminalizzazione che viviamo in Venezuela. Questo riconoscimento rappresenta il desiderio collettivo di un Paese che continua a scommettere su una transizione democratica. Il premio Nobel per la pace assegnato a una donna venezuelana perseguitata per aver esercitato i propri diritti politici invia un messaggio chiaro: la lotta non violenta per la democrazia è fondamentale e merita protezione. Questo riconoscimento contribuisce anche a rendere visibile la sofferenza di migliaia di persone detenute e perseguitate per motivi politici nel Paese”.

Tra questi, anche il veneziano Alberto Trentin, da quasi un anno in carcere a Caracas. Vani, finora, i tentativi di riportarlo a casa.

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