venerdì, 26 luglio 2024
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Un canale sotto scacco

Le recenti tensioni geo-politiche, legate al conflitto in corso tra israeliani e palestinesi a Gaza, portano alla ribalta l’importanza della rotta di Suez per l’economia mondiale. E si ritorna a circumnavigare l’Africa

Il mondo guarda avanti, ma un mattino si sveglia ai giorni antecedenti il 17 novembre 1869, quando venne inaugurato il canale di Suez, che consente alle navi di dirigersi direttamente dal Mediterraneo all’Oceano Indiano, senza la necessità di circumnavigare l’Africa sull’Oceano Atlantico, lungo la rotta del capo di Buona Speranza. La rotta più breve per trasportare le merci tra Asia ed Europa.

Una stima, riportata dal professor Gianmarco Ottaviano, docente di Economia Politica all’Università Bocconi su www.lavoce.info, calcola nel “12 per cento del commercio globale e il 30 per cento del traffico globale di container che attraversa dil Canale di Suez, trasportando merci per un valore di circa mille miliardi di euro all’anno. Mediamente ogni giorno lo percorrono 50 navi, con carichi da un valore complessivo tra circa 3 e 9 miliardi di euro e un peso di circa un miliardo di tonnellate, un tonnellaggio paragonabile a quattro volte quello del traffico transitante attraverso il Canale di Panama tra Oceano Pacifico e Oceano Atlantico. Si calcola che circa il 15 per cento delle merci importate in Europa, Medio Oriente e Nord Africa arrivi dall’Asia e dai Paesi del Golfo via mare, tra cui il 21,5 per cento del petrolio raffinato e oltre il 13 per cento del petrolio greggio”.

Un incubo che nessuno si sarebbe augurato e che è il frutto dell’allargamento degli scontri bellici, riconducibili allo scontro primario tra israeliani e palestinesi (vedi articolo a pagina 2). Gli attacchi dei ribelli yemeniti Houthi, noti anche come Partigiani di Dio, iniziati lo scorso autunno e rivolti a Israele hanno di fatto coinvolto tutto il traffico navale lungo la nevralgica rotta del Mar Rosso che si è rivelata vulnerabile soprattutto quando passa dallo stretto di Bab El Mandeb, che collega il Mar Rosso al Mare Arabico e all’Oceano Indiano. Per non trovarsi nel mezzo degli attacchi dei ribelli yemeniti, nel tratto da loro controllato, molte compagnie di navigazione hanno, nelle scorse settimane, interrotto il transito dall’area, deviando le loro navi cargo sull’assai più lunga rotta del periplo dell’Africa. Anche le navi da crociera hanno sospeso quella rotta. Azioni spesso solo di intimidazione quelle Houthi, ma che hanno ottenuto l’effetto sperato. Nello stesso tempo, gli Stati Uniti hanno lanciato il piano per una missione navale internazionale di pattugliamento e protezione delle navi mercantili. In Mar Rosso, da qualche giorno è presente anche la nave “Federico Martinengo”, che ha sostituito la “Virginio Fasan” nell’ambito dell’attività nazionale di sorveglianza marittima in prossimità dello stretto di Bab-el Mandeb, che era lì da fine dicembre su disposizione del ministro della Difesa, Guido Crosetto.

Cosa comporterà questa ennesima crisi per la nostra economia è presto per dirlo, anche se la preoccupazione è tangibile. Gli Houthi hanno dichiarato che questi attacchi continueranno finché Israele non sospenderà le operazioni a Gaza.

Circumnavigare l’Africa per arrivare in Europa comporta una deviazione di 9.000 chilometri, che, in termini di tempo, significano “tra i sei e i 14 giorni di viaggio in più”, secondo Guy Platten, segretario generale dell’International Chamber of Shipping.

Per il momento, non ci sono ricadute sostanziali sul prezzo delle merci. A essere aumentati, ovviamente sono il prezzo del trasporto, per l’uso del carburante, e le polizze assicurative delle navi. E, oltre a questo, il maggior tempo necessario per viaggio, determina una riduzione delle esportazioni medie per impresa esportatrice.

Sicuramente l’aspetto economico è secondario rispetto alla perdita di vite umane che sta avvenendo a Gaza. Ma è l’ennesima conseguenza di un mondo che non sa e vuole vivere in pace.

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