Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
Il cuore peruviano di papa Leone XIV




Un papa “missionario”. Robert Francis Prevost, papa Leone XIV, ha trascorso in Perù (Paese del quale ha anche la cittadinanza) vent’anni della sua vita, inizialmente, appunto, come giovane sacerdote missionario agostiniano, nel nord del Paese, con residenza a Trujillo. Quindi, dal 2014 al 2023, come amministratore apostolico e, quindi, vescovo di Chiclayo, sempre nel nord. Territori impervi, quelli frequentati da Prevost, privi di vie di comunicazione, nei quali, in pochi chilometri, si passa dalla costa del Pacifico ai primi contrafforti delle Ande, praticamente desertici, e poi alle cime più alte.
Una lunga presenza che ha, però, lasciato solo poche tracce nei missionari del nostro territorio presenti nel Paese. Ciò che basta, però, per condividere la gioia di tutto un popolo.
Le voci dei missionari
“Ho parlato con lui una volta, a Lima, dai salesiani, per i quali, all’epoca, ero ispettore - racconta don Santo Dal Ben, salesiano originario di Musile di Piave -. Ma non ho avuto altri contatti con lui, anche perché a Chiclayo non sono presenti case salesiane. Qui a Lima, in ogni caso, sono tutti molto contenti. È molto conosciuto come un missionario semplice, alla mano, a cui piace stare in mezzo alla gente. Hanno fatto il giro del paese le sue foto a cavallo. Nelle zone dove ha vissuto, gli spostamenti non sono facili, bisogna anche mettere in conto viaggi di diversi giorni”.
In una foto, che pubblichiamo qui sopra, il vescovo Prevost è a Chiquibambilla, in mezzo alle Ande; a sinistra, con la barba, si scorge padre Andrea Dentelli, sacerdote dell’Operazione Mato Grosso, originario di Zero Branco. Non sono pochi i missionari, laici e religiosi, del nostro territorio, che fanno parte di Operazione Mato Grosso e vivono in Perù. In questi giorni, dalle loro chat, emergono sorpresa ed entusiasmo.
Da Lima, ci risponde anche suor Lucia Guidolin, delle Figlie di Nostra Signora della Pietà: “L’ho visto solo una volta, durante una celebrazione nella cattedrale di Lima - racconta -. Ma è conosciuto da tutti come una persona vicina ai poveri”.
Il racconto del “braccio destro”
Chi conosce molto bene il nuovo Papa è César Piscoya Chafloque. Amico di lunga data di Robert Prevost, conosciuto in età giovanile, a Trujillo, è stato il “braccio destro” del futuro Papa nella diocesi di Chiclayo, dove ha animato e coordinato la pastorale diocesana.
“La sua chiamata mi raggiunse in Bolivia, nel 2016 - racconta -. Voleva che mi occupassi di animare e di coordinare la pastorale della diocesi. Per me fu una sorpresa, dovevo parlarne con mia moglie, era un nuovo cambiamento di vita. «Mi dia del tempo», gli chiesi. Da parte sua ci fu la massima comprensione e pazienza. «Prenditi il tempo che ti serve», mi disse. E a febbraio 2017 ero con lui, a Chiclayo. «Ti ha chiamato il Signore», le sue parole, quando arrivai. Sono la conferma del suo atteggiamento spirituale, con il quale, certamente, ha accolto l’elezione a Papa”.
Quelli nella pastorale di Chiclayo, fianco a fianco del vescovo, sono anni che César ricorda con gioia: “Con vescovo Robert abbiamo lavorato moltissimo per la comunione e per l’unità, abbiamo girato per la diocesi, visitato le parrocchie, è stato un grande sforzo di vivere insieme, appunto, in comunione, l’azione della Chiesa”. Con una particolare attenzione ai laici, alla loro valorizzazione, ma anche formazione, seria e qualificata: “Devo dire che non era facile dare tutta questa responsabilità a un laico, com’ero io. Nella Chiesa di Chiclayo, per alcuni aspetti, prevaleva ancora una pastorale di conservazione, molto basata sulle celebrazioni e sui sacramenti. Oggi lo dico, non è stato facile. Ma mons. Prevost mi è sempre stato molto vicino, e non ha mai cessato, neppure per un momento, di avere fiducia nella mia persona”.
Un’altra priorità pastorale è stata quella per i poveri, in coerenza con l’esperienza missionaria del Vescovo, in un Paese, il Perù, caratterizzato da squilibri strutturali: “Era sempre presente nelle periferie, tra le sofferenze della gente. Una vicinanza che si allargava anche al dolore spirituale. L’ho sperimentato personalmente, quando è venuta a mancare mia moglie. Mi è stato vicino continuamente, mi ha accompagnato, era presente. Non ha avuto paura, con me e con gli altri, di «toccare la carne sofferente», è sempre stato una persona premurosa e attenta”.