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Campo giovani in Bosnia: l’esperienza di quindici ragazzi sandonatesi

La zona di Bihac è snodo inevitabile della rotta balcanica, con i suoi forti drammi. Qui si è svolto il campo di servizio
20/09/2024

Nelle scorse settimane, quindici ragazzi tra i 18 e i 30 anni della Collaborazione pastorale di San Donà di Piave, guidati dai vicari parrocchiali don Samuele Moro e don Mattia Agostini, hanno vissuto un campo di servizio a Bihac, città bosniaca incuneata nel confine croato, snodo inevitabile della rotta balcanica.

“La proposta di questo campo di servizio è nata all’interno delle Acli di Treviso - ci spiega don Samuele -. Siamo stati ospitati da Ipsia (Istituto pace, sviluppo e innovazione Acli), che dagli anni ’70 opera nella zona balcanica”.

In questi anni, Ipsia offre servizio proprio ai migranti che provano il “game”, ovvero l’ingresso nell’Unione europea, passando per il confine croato, che si nasconde nei boschi che circondano Bihac. “Gioco” pericolosissimo, perché, se scoperti dalla polizia croata, i migranti subiscono violenze e umiliazioni, che violano il diritto internazionale.

“Abbiamo incontrato alcuni di costoro, che ci hanno raccontato i brutali metodi della polizia, che umilia i migranti gettandoli nelle gelide acque dei fiumi di confine di notte, col rischio di farli annegare. Molti migranti muoiono nel corso del loro cammino; i responsabili di Ipsia danno, allora, sepoltura a queste persone”, spiega don Samuele.

Durante la permanenza a Bihac, i ragazzi hanno svolto servizio in tre campi cittadini: “A Lipa, campo situato a 15 km da Bihac e popolato da soli uomini, con Ipsia abbiamo animato il container, che funge da luogo bar e punto di ritrovo del campo stesso. Qui abbiamo ascoltato le storie di queste persone, cercando di dar loro un piccolo momento di serenità e di aria familiare. Cosa non semplice, perché nel campo furti e risse sono all’ordine del giorno - racconta il sacerdote -. Abbiamo poi operato in centro a Bihac, nel campo di Borici, dove sono ospitate famiglie e minori non accompagnati, che hanno bisogno di maggiori tutele, per non finire vittime di tratta. Infine, abbiamo prestato servizio in un daily center all’interno della parrocchia gesuita, che accoglie i profughi che vivono per strada, che qui trovano un pasto caldo e un momento di conforto”, ricorda don Samuele, che ci spiega gli intenti di un’esperienza così impattante.

“Abbiamo voluto sensibilizzare i ragazzi, in modo che siano testimoni di ciò che succede a Bihac: le manganellate della polizia europea, le terribili condizioni di vita a Bihac, i volti e le storie di chi tenta di raggiungere l’Europa. Sono 80.000 i migranti che percorrono la rotta balcanica, una cifra irrisoria rispetto alla popolazione europea - ragiona don Samuele -. Eppure, molti Stati europei spendono ingentissime risorse per non farli entrare, calpestando deliberatamente i loro diritti. L’Unione europea è consapevole di ciò, ma non ha mai intrapreso azioni concrete per difendere queste persone e il desiderio di giustizia, pace e bene che li guida”.

Le esperienze di questo campo così intenso hanno colpito nel profondo lo spirito dei ragazzi presenti. Scrive Lucia: “Quest’esperienza ci ha fatto comprendere quanto i migranti siano simili a noi: hanno molti talenti e dei grandi sogni che vorrebbero realizzare, ma a causa della loro origine non hanno la libertà di farlo. Ho imparato quali siano i beni e i valori che contano (una casa, del cibo, la salute, un amico) e quali siano invece solo superficiali. Grazie alla loro disponibilità e generosità nel raccontarsi, ci hanno dato la possibilità di portare testimonianza del loro coraggio e delle ingiustizie che subiscono costantemente lungo la strada”.

Scrive, invece, Emma: “L’esperienza nei campi profughi in Bosnia è stata molto intensa, sia fisicamente che emotivamente. Nella mia mente, sono impressi i volti e i sorrisi di adulti, ragazzi e bambini che ho conosciuto, i cui sguardi comunicavano una speranza incrollabile in un futuro migliore. Quelle accolte nei campi sono persone che fuggono da situazioni di difficoltà economica, di violenza o guerra, e che, giunte fino al confine con la Croazia attraverso la rotta balcanica, nonostante la stanchezza e la paura, trovano ancora dentro di loro la forza di non arrendersi, nemmeno di fronte alle percosse della polizia croata, che impedisce ai profughi in tutti i modi di passare il confine, privandoli, quando li intercetta, dei loro averi e della loro dignità. Come volontari di Ipsia, abbiamo contribuito a donare loro un po’ di spensieratezza, organizzando attività e giochi ai quali loro hanno sempre preso parte con disponibilità ed entusiasmo, condividendo con noi anche le loro storie e la loro umanità”.

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