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Referendum: cronaca di un fallimento annunciato

L’analisi del direttore dell’istituto Cattaneo, Salvatore Vassallo: “Sul lavoro, rispetto alle attese, è andata pure bene ai promotori. Sui no alla Cittadinanza, non sono sorpreso”
12/06/2025

La vera stranezza, è che qualcuno si stupisca per il mancato raggiungimento del quorum, ampiamente annunciato. Salvatore Vassallo, politologo, in passato dirigente degli universitari cattolici (Fuci) e deputato del Partito democratico, è il direttore dell’Istituto Cattaneo, la realtà che con più tempismo e precisione, solitamente, analizza i risultati elettorali. I referendum dell’8 e 9 giugno, che sono rimasti lontanissimi dal quorum del 50 per cento più uno, non fanno eccezione. Già martedì scorso, l’istituto Cattaneo ha sfornato un report in cui guarda con la lente d’ingrandimento il voto referendario, la partecipazione attorno al 30 per cento, i quattro quesiti sul lavoro, nei quali i Sì hanno superato l’85% (con qualche piccola fetta di adesioni proveniente da abituali astensionisti o da partiti di centrodestra), e quello sull’abbreviamento dei tempi per ottenere la cittadinanza, con i Sì che hanno superato a stento il 65%: un risultato clamoroso, dato che gli elettori di centrodestra si sono in grandissima parte astenuti, e hanno reso palese che nel cosiddetto “campo largo” la compattezza manca non solo alla classe dirigente, ma anche alla base elettorale. In pratica, è risultato evidente che molti elettori del M5S non ne vogliono sapere di concedere in tempi brevi la cittadinanza italiana agli stranieri. Ma anche il 15-20% di chi vota Pd ha preso le distanze dalla proposta.

Soprattutto, però, Vassallo non si è per nulla stupito dell’ennesimo fallimento dei referendum. Anzi, si è trattato di una cosa ovvia, scontata, come peraltro ben sapevano gli attori politici, che, pure hanno “recitato” fino all’ultimo minuto.

Perché, professore?

Si tratta di un risultato similare ai referendum degli ultimi vent’anni (tutti falliti, a parte quelli del 2011 su acqua pubblica e nucleare, ndr). Certo, la composizione del corpo elettorale è un po’ diversa, ma tutti i numeri dicono che non si è trattato di una partecipazione anomala. Del resto, capita da decenni che all’astensionismo fisiologico si sommi quello di chi è contrario ai quesiti referendari. C’è stata, è vero, una forte mobilitazione nell’elettorato di centrosinistra, ma era difficile aspettarsi qualcosa di più. Se guardiamo ai quattro quesiti sul lavoro, diciamola tutta, è andata pure bene alle forze che sostenevano il referendum, tanto che i Sì sono stati di poco maggiori alla forza elettorale del centrosinistra, se guardiamo ai voti presi alle elezioni europee del 2024.

Eppure, molti parlano di una sonora sconfitta per il centrosinistra.

Si tratta del classico effetto boomerang, causato dalle false aspettative che sono state generate dei promotori stessi del referendum. Arrivare al 50 per cento era un’illusione, e lo si sapeva benissimo.

Nel risultato, però, una sorpresa c’è: la forte percentuale di No, attorno al 35%, nel quesito sulla cittadinanza. Cos’è successo? Era prevedibile?

Chi studia i numeri, sa bene che, fin dalla metà degli anni Novanta, c’è una parte di elettorato di centrosinistra che non è d’accordo con le posizioni dei propri leader nazionali su alcuni temi. Si tratta, in gran parte, di elettori abitudinari della sinistra, che vivono in aree periferiche. Sono vicini alle posizioni dei partiti sul lavoro, sul welfare, ma sono scettiche su alcuni temi “nuovi”, i migranti, ma anche il genere, i legami famigliari... Devo dire che questo risultato non mi stupisce. Tra l’altro, oggi incidono sull’opinione pubblica episodi di cronaca, su violenza sessuale e bullismo, di cui a volte sono protagonisti stranieri di seconda generazione. Va, poi, aggiunta una cosa. Il quesito proponeva di dimezzare i tempi per l’ottenimento della cittadinanza degli stranieri, ma non sappiamo quale sarebbe stata la risposta rispetto a un quesito più incisivo, come l’introduzione dello “ius scholae”, il dare la cittadinanza a chi ha compiuto il ciclo di studi in Italia. Logico, comunque, che questo tipo di elettorato “periferico” fosse più attratto dalle questioni del lavoro.

Eppure, c’è chi afferma, nel centrosinistra, che i Sì hanno superato i dodici milioni di voti, più o meno lo stesso numero dell’attuale maggioranza di Governo.

Ci sono vari motivi per affermare che questa teoria non sta in piedi. Intanto, chi la sostiene, prende solitamente il quesito numero 1, sull’abolizione del Jobs act, nel quale il campo largo è andato “benino”. E perché, invece, non prendere il quesito 5, sulla cittadinanza, dove il centrosinistra è andato male? E poi, il risultato dei referendum è frutto di altre dinamiche, perfino di rivoli di consenso arrivati dal centrodestra e da cittadini che solitamente si astengono.

Andrebbe però ricordato che, strada facendo, il treno del referendum ha perso “il vagone” più importante, quello dell’autonomia differenziata, non ammesso dalla Consulta, non le pare?

Sì, è vero. Ma in ogni caso, ritengo che il quorum non sarebbe stato raggiunto. Saremmo, magari, arrivati al 38 per cento, o giù di lì.

Ci sarà mai più un referendum che supera il “muro” del quorum?

In astratto, sarebbe possibile solo su temi che riguardano la libertà personale, sui quali gli elettori hanno esperienza diretta e possono farsi da soli un’idea, e rispetto ai quali gli schieramenti, o per convinzione o per convenienza, decidessero di non prendere posizione, di fronte a un esito incerto. In alcuni casi, sono temi che, oggettivamente, metterebbero in difficoltà la Chiesa, per esempio quello del fine vita.

Molti, stanno proponendo di abbassare il quorum, per non affossare l’istituto referendario. Cosa ne pensa?

Avrebbe un senso abbassare il quorum, ma sono comunque cauto. Emergerebbero subito dei dilemmi, già presenti nel dibattito: prevedere una soglia fissa, o una mobile, per esempio la metà dei votanti alle ultime elezioni politiche? Poi c’è il tema delle firme da raccogliere. Giustamente, sono state ammesse quelle digitali, ma in tal modo è più facile raggiungere le 500 mila firme. Bisognerebbe, nel contempo, alzare il numero delle firme. Alla fine, sarebbe concreta l’eventualità di una moltiplicazione dei referendum.

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