giovedì, 07 novembre 2024
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Autostrade: altro che autonomia!

Sembra tramontare l’ipotesi di un “polo veneto”, Salvini accentra tutto a Roma. Ma rischia di saltare, in ogni caso, l’idea di “spalmare” i debiti della Spv in un più grande contenitore

La regola è quella dei vasi comunicanti: l’acqua che entra in un vaso, entra anche negli altri, fino a ottenere sempre lo stesso livello. In economia, questa regola diventa un trucco di ripianare i debiti, creando società più grandi da una serie di piccole società, in cui quelle in attivo compensano le perdite delle altre. Da tempo, lo hanno capito anche i politici; così, oggi, lo scontro è aperto, nella Lega, su chi si accollerà il passivo annuo (si va dai 20 milioni previsti dalla Regione ai 200 per più critici) che la Superstrada pedemontana veneta potrebbe produrre, per altri 39 anni.

La coppia Luca Zaia-Elisa De Berti, rispettivamente presidente della Regione e vicepresidente nonché assessora ai Trasporti - che ha accumulato nuovi chilometri di asfalto continuando la politica dell’assessore Renato Chisso, travolto dallo scandalo Mose, limitandosi a costruire ferrovie solo quando arrivavano fondi dallo Stato - ha annunciato, tra le righe della serie di inaugurazioni dei diversi tratti della Spv, l’intenzione di creare, insieme con il Friuli, un gestore unico delle autostrade della regione. Apparentemente, per ragioni di efficienza, mentre i maligni ritengono sia il sistema (vasi comunicanti) per incorporare i debiti della superstrada veneta e sfruttare i guadagni della Brescia-Padova e del Cav (il Passante di Mestre), per ripianarli.

L’idea della Regione

L’idea era quella di inserire la Spv e la A4 Brescia-Padova nel Cav (Concessioni autostradali venete), sfruttando i margini finanziari che produce la tangenziale di Mestre (il Cav nel 2023 ha registrato un utile di 31,8 milioni, il 30 per cento in più del 2022, e al 31 dicembre 2023 aveva una liquidità di 195,2 milioni) e la A4, ormai completamente ammortizzata nei costi.

Ultimo tassello di una politica centrata sull’uso della gomma: ancora oggi, al centro del dibattito veneto, c’è la via del Mare (da Treviso a Jesolo), un nastro che dovrebbe servire a eliminare le code in ingresso a Jesolo. Scomparso, invece, dai radar della Giunta regionale l’impegno per la metropolitana di superficie, quella Sfmr che doveva collegare i capoluoghi del Veneto con treni cadenzati ogni 15-20 minuti. Mentre l’alta velocità sta faticosamente arrivando a Venezia, e verrà portata a termine grazie ai fondi del Pnrr.

All’inaugurazione del collegamento tra Spv e A4, il 5 maggio 2024, il chiacchiericcio sulla nuova società regionale, o addirittura triveneta, era assordante.

Il decreto Salvini

Poi, qualche nube è apparsa all’orizzonte, e qualche giorno fa, al Consiglio dei Ministri, Matteo Salvini ha presentato il decreto legge sulla concorrenza, che segna il ritorno delle autostrade, almeno quelle in cui le concessioni sono in scadenza, nell’orbita dello Stato. Il ministro manda un forte segnale centripeto: tutto viene accentrato a Roma, in particolare l’extra gettito delle società autostradali non resterà più al concessionario, ma verrà incamerato dallo Stato, e utilizzato per lavori di ammodernamento, anche di tratti non autostradali. Forse, altre materie, come istruzione, ambiente, tutela della salute, sicurezza sul lavoro possono finire alle Regioni, ma quando si parla di rete autostradale, Roma se la tiene stretta e lo fa con un ministro il cui partito ha combattuto ferocemente per l’approvazione del disegno di legge sull’autonomia. Salvini ha dichiarato: “L’obiettivo è permettere a tutte le regioni di correre sempre più veloce, riducendo i divari territoriali e realizzando quell’unità che c’è solo sulla carta”. “Tutti i cittadini, da nord a sud”. Per le autostrade, evidentemente, gli sprechi si combattono meglio da Roma.

C’è, però, una postilla, una sorpresa dell’ultimo minuto: nel network previsto dal ministro Salvini non sono comprese le autostrade regionali, ovvero non dovrebbero fare parte di questo polo nazionale: Autostrada pedemontana lombarda, Brebemi, Tangenziale est esterna Milano, Superstrada pedemontana veneta. A dire il vero, il ministro si augura che durante la discussione in Parlamento anche queste autostrade rientrino nel provvedimento. Resta il fatto che sono stati esclusi proprio i tratti economicamente più critici. Sicuramente, le direttive europee non permettono al momento di accollarsi nuovo debito in qualsiasi forma.

Doppia doccia fredda

Doppia doccia fredda per Venezia. Zaia e De Berti immaginavano, comunque, che se i vasi comunicanti non li poteva fare la Regione, li facesse lo Stato. L’importante era uscire dall’impiccio del debito.

Il silenzio assordante che arriva dai palazzi della Giunta regionale veneta, forse, è segnale di un imbarazzo e della necessità di capire come evolve la situazione.

Ma la Spv funziona

A questo punto, si devono fare due considerazioni. La prima è che i segnali che provengono dalla Superstrada pedemontana veneta sono incoraggianti: il traffico, in particolare dei mezzi pesanti, è evidente nei giorni feriali. Meno evidente è il traffico dei privati, di chi si sposta nelle giornate festive. Uno degli obiettivi, ovvero liberare dal traffico pesante i centri abitati della Pedemontana, sembra concretizzarsi. Tutto da valutare, invece, l’affermarsi della Spv come passante alto rispetto alla A4, forse, soprattutto, per l’elevato costo del pedaggio. Nonostante sia possibile evitare la trafficatissima A4, questa non pare una scelta conveniente per gli automobilisti. La Spv sta, progressivamente, sviluppando un impatto ampiamente previsto, che è la ragione della sua costruzione: l’area industriale e produttiva della Pedemontana Veneta è rientrata a pieno titolo nel triangolo Treviso-Padova-Venezia e grazie alla A27 si spinge verso il Friuli e il confine austriaco.

Enorme macigno

La seconda considerazione non può che soffermarsi sull’enorme macigno che è stato scaricato sulle tasche dei veneti. Un’opera nata con un project financing, un progetto di finanza, che avrebbe dovuto trasferire il rischio di impresa sulle spalle del concessionario, improvvisamente nel 2017, con la firma della terza convenzione, è stata completamente ribaltata. Al concessionario è stato garantito un canone per 39 anni, mentre la Regione Veneto deve recuperare i fondi per questo canone con i pedaggi. Gli stessi calcoli della Regione, anche quelli più ottimistici, parlano di un tempo molto lungo perché i pedaggi riescano a coprire il canone, circa nove anni. L’opera è quasi sicuramente necessaria, meno necessario era abbandonare la prospettiva tradizionale del project financing per girare a svantaggio della Regione tutte le problematiche di pagamento del canone.

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