Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
Il linguaggio nella parità di genere: le direttive italiane ed europee

Sappiamo bene che, quando parliamo e scriviamo, l’uso del linguaggio riflette e influenza il nostro modo di pensare e di agire. Le parole che vengono utilizzate possono, consapevolmente o inconsciamente, determinare il pensiero.
Il linguaggio, dunque, non è neutro: riflette e modella la realtà. Per questo, le istituzioni europee e molti atenei italiani, tra cui l’Università di Trento, hanno adottato linee guida per promuovere l’uso di un linguaggio rispettoso della parità di genere. L’obiettivo è quello di combattere stereotipi e discriminazioni a partire dalla comunicazione, favorendo una cultura inclusiva e rispettosa delle diversità.
Le indicazioni europee sono contenute innanzitutto nella Direttiva Ue/54 del 2006 e nelle linee guida “La neutralità di genere nel linguaggio al Parlamento europeo 2008”, dove si raccomanda di evitare l’uso di termini che, qualora implichino la superiorità di un sesso sull’altro, possano avere una connotazione di parzialità, discriminazione o “deminutio capitis”, ossia letteralmente la perdita di un capo, intesa come perdita di prestigio, di autorità o di grado.
La Direttiva Ue è in sintonia con le indicazioni nazionali, tra cui la Direttiva sulle misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle Amministrazioni pubbliche, dove si indicano, fra le linee di azione, l’utilizzo in tutti i documenti di lavoro di un linguaggio non discriminatorio come, ad esempio, l’uso di sostantivi o nomi collettivi che includano persone dei due generi, ad esempio è opportuno scrivere “persone” anziché “uomini”, “lavoratori e lavoratrici” anziché “lavoratori”.
Le linee guida europee prevedono tra le altre cose, l’uso di termini neutri, quali ad esempio “persona che guida”, piuttosto che “autista uomo”, la declinazione al femminile e quindi “la ministra, la sindaca, la presidente, l’avvocata, la medica”, l’alternanza dei generi nei testi lunghi o l’uso di formule collettive inclusive, ad esempio, “tutti e tutte” oppure “il personale docente”, l’attenzione all’iconografia per rappresentare equamente uomini e donne.
La stessa Accademia della Crusca, principale punto di riferimento nel campo della linguistica e filologia italiana, invita a declinare ruoli e professioni, per dare uguale rappresentatività a uomini e donne quando entrambi siano presenti, e adattare la sintassi all’esigenza di evitare sia forme di maschile presunte universali sia una comunicazione pesante e ripetitiva.
Nonostante le intenzioni inclusive, e ne sono esempio recente le norme previste dalla certificazione per la parità di genere (Uni/Pdr 125:2022), le linee guida su tale linguaggio suscitano ancora dibattiti tra chi le considera strumenti essenziali per l’uguaglianza e chi le percepisce come eccessi burocratici o linguisticamente forzati.
Tuttavia, la crescente attenzione al tema riflette un cambiamento culturale in corso, in cui le parole contano molto.