venerdì, 23 maggio 2025
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La voce di Stefano: dall’Ipm a guida alle mura ipogee di Treviso, per ricominciare

“Da questa esperienza ho tratto molto giovamento, perché non solo ho trovato un gruppo di persone che mi hanno accolto senza giudicarmi”

Sono Stefano e sono arrivato al carcere minorile di Treviso nel mese di febbraio 2024, per scontare una pena definitiva, dopo aver buttato al vento le tante possibilità che le Assistenti sociali del Tribunale dei minori avevano progettato per offrirmi la possibilità di scontare la pena fuori dal carcere. Invece, ho voluto fare le cose di testa mia e, anche per l’immaturità, mi sono complicato la vita e, alla fine, mi sono ritrovato in cella, a Treviso.

Pensavo di trascorrere in carcere poco tempo e, invece, ci sono rimasto per un anno della mia vita. All’inizio ho vissuto con molta insofferenza la vita in carcere e facevo fatica ad accettare le regole e i tempi che ti impongono. Di certo, ho capito cosa vuol dire perdere la libertà. Ma con il passare del tempo ho conosciuto gli altri detenuti, le educatrici, la psicologa, il medico, la polizia penitenziaria e tutte le persone che lavorano in carcere. Ho conosciuto anche il don, così lo chiamiamo tutti noi, che si preoccupa di noi con tanta gentilezza e umanità, senza fare differenze e pensando al benessere di tutti, soprattutto quei ragazzi che non hanno nessuno a casa che li aiuta o sono stranieri. Ho capito che le educatrici fanno l’impossibile per progettare un piano che ci consenta di uscire dal carcere, con un programma che ci permetta di reinserirci nella società. Ma ogni cosa ha bisogno dei suoi tempi e io non avevo la pazienza di aspettare.

Avere pazienza non è il mio forte e ho dovuto fare un grande sforzo per controllarmi. Finalmente a novembre la mia educatrice mi informa che con il don stanno riflettendo per un programma di permessi da svolgere fuori dal carcere, in vista del mio ritorno a casa. Solo il fatto di aver avuto questa notizia mi aveva fatto impazzire di gioia, perché non vedevo l’ora di uscire. Mi dicevo che pur di uscire avrei fatto qualsiasi cosa, anche pulito i bagni alla Caritas.

Quando finalmente ho incontrato Sara, con l’educatrice e il don, ho pensato che mi avrebbero proposto di fare volontariato in Caritas o in una qualsiasi associazione, come già tanti altri prima di me. Quando però Sara, che si è presentata come archeologa, mi ha spiegato quello che aveva in mente, cioè di inserirmi in un gruppo che si occupava delle visite guidate alle mura storiche di Treviso, ho capito che la cosa era molto seria e che quello che mi aspettava non era semplicemente passare qualche ora fuori dal carcere, ma che mi dovevo impegnare veramente. Ero felice, e allo stesso tempo preoccupato, perché avevo paura di non essere all’altezza: la verità è che io ho studiato poco e non ho imparato nessun mestiere, ma ho solo “combinato guai”.

Il don mi tranquillizzava e mi faceva capire che Sara era la persona giusta per me e mi avrebbe insegnato tutto, e che all’inizio mi avrebbe accompagnato lui, anche per fare in modo che non mi perdessi a Treviso. Il primo giorno di permesso mi è rimasto impresso nella mente. Ero pieno di felicità, ma anche spaventato. Il don mi aveva avvertito che sarebbe stata una “gita turistica” per la città e che, con Sara, avremmo conosciuto i luoghi dove avrei fatto le attività di volontariato. Ero frastornato, mi sembrava di essere vestito male e che tutti mi osservassero, e non ero più abituato a stare fuori, tanto che a un certo punto ero come ubriaco. Per fortuna il don e Sara mi hanno fatto passare una magnifica giornata e ho capito che avrei trascorso un tempo veramente importante. Sara, con il suo sorriso e il suo ottimismo dava sicurezza, sapevo che non mi dovevo troppo agitare e non vedevo l’ora di cominciare. Comunque, ho scoperto una città bellissima, piena di acqua, ma è più bella Trieste, la mia città. Dopo qualche giorno, il don mi ha accompagnato a casa di Sara, alla riunione con tutti i volontari con i quali avrei svolto il servizio. Abbiamo mangiato la pizza, in carcere mancano queste cose semplici. Durante la riunione mi sembrava di essere sotto esame, ero intimidito e avevo paura di fare brutta figura. Non è facile per me parlare con persone che non conosco, ma in quell’occasione ho sentito che avevo di fronte persone che mi accoglievano e che erano pronte a darmi una mano. Con il passare del tempo e grazie al grande aiuto di Sara, ho imparato ad aprirmi e a fare tutto il possibile per essere di aiuto. Il don, dopo un po’ di uscite, mi ha procurato una bicicletta, avevo imparato come andare a porta San Tomaso o a porta Santi Quaranta, e Sara mi aspettava per accogliermi con una buona colazione. E se all’inizio ero intimidito, un po’ alla volta ho imparato ad apprezzare Sara e mi sono aperto, raccontandole della mia vita e della mia famiglia a Trieste, sentivo che potevo parlare e che avevo vicino una persona stupenda e sensibile. Le cose sono diventate più ardue quando Sara mi ha chiesto non solo di aiutarla con la preparazione del materiale, ma anche di cominciare a fare da “guida” ai gruppi. Ho pensato che stesse scherzando, e, invece, mi ha dato dei fascicoli da studiare e imparare. Quanta fatica imparare a memoria le informazioni da ripetere ai visitatori. In carcere ho dovuto leggere e rileggere, ma, quando andavo a svolgere il servizio, Sara mi trovava sempre impreparato. La verità è che non studiavo abbastanza e che prendevo le cose un po’ alla leggera. Invece Sara ci teneva, sentivo che voleva da me il massimo e che credeva in me. Non volevo deluderla, ma allo stesso tempo mi rendevo conto che non ero abituato a impegnarmi e a essere costante.

Per concludere il mio servizio sulle mura, prima del mio ritorno a casa, a febbraio 2025, l’educatrice, il don e Sara hanno organizzato una visita guidata sulle mura di Treviso, invitando tutte le persone che lavorano in carcere e che mi hanno accompagnato durante quest’anno in Ipm. È stato un momento emozionante, che mi è stato offerto per ringraziare tutti e dimostrare che il carcere dà la possibilità di riscattarsi e anche di mostrare le proprie attitudini e pregi. Non sarei riuscito a combinare niente, se non ci fosse stata Sara, che mi ha sempre incoraggiato. Non posso dimenticare anche tutto il gruppo dei volontari di “Treviso Sotterranea” della loro gentilezza e della loro vicinanza. Sara mi ha trattato da adulto e non come un “poverino” sempre da discolpare, e di questo sono veramente contento, perché ho dovuto tirare fuori il meglio senza trovare scuse.

Certamente, da questa esperienza ho tratto molto giovamento, perché non solo ho trovato un gruppo di persone che mi hanno accolto senza giudicarmi ma, al contrario, facendo di tutto per mettermi a mio agio e farmi sentire parte del gruppo. È stata un’esperienza veramente importante e ne conserverò un bellissimo ricordo. Grazie Sara, grazie don per quello che mi avete fatto vivere e apprezzare.

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