Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
No al cellulare in classe, ma non c’entra la didattica

Si è acceso nuovamente il dibattito sull’uso del telefonino a scuola. L’occasione è stato l’annuncio del ministro Valditara di una norma che ne proibirà l’utilizzo per le classi superiori dal prossimo anno scolastico. Apriti cielo: tutti a scrivere, commentare e sentenziare, persino Aldo Grasso del Corriere, che ricordavo invece si occupasse di tv e spettacolo. Da tempo chi scrive in questa rubrica insiste sulla necessità di educare a scuola all’utilizzo degli strumenti digitali: un utilizzo guidato, finalizzato, condiviso con i docenti. Questa vale sia per gli schermi digitali come pure per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, ma servono analisi serie, obiettivi didattici e formazione in primis dei docenti. Non è questo ciò che vieta la norma del ministro, impedisce, infatti, di portare il cellulare in classe nella sua funzione di smartphone: entrare nei social, messaggiare, postare, distrarsi con internet, fare foto, ovvero tutte quelle funzioni che nulla hanno a che vedere con la didattica, con lo stare in classe in maniera adeguata, attenta, proficua e, aggiungerei, decorosa. Sono opinioni da boomer, direbbe qualcuno ma amplificate, certamente, da una sconfitta: quella di aver visto molti dei nostri figli, non tutti, dipendere dallo smartphone, delegando relazioni e attenzioni, facendo loro gestire priorità, tempi, ansie, smantellando senso di responsabilità e il concetto di età adeguata, che prevede di fare certe esperienze della vita nei tempi e nei modi adatti. Evidenze emerse da rilevazioni di istituti e agenzie sanitarie e da un monitoraggio internazionale svolto dall’Università di Canterbury in Nuova Zelanda (2024). I divieti, certo, non bastano: è qui che il ruolo di educatori e famiglie entra in gioco in un vero patto educativo. Esempi di scuole lungimiranti nei nostri territori ce ne sono, anche nei cicli inferiori: regole di utilizzo a casa, tempi prestabiliti, con genitori primo esempio. Progetti mirati non a demonizzare, ma a regolare, responsabilizzare, e rendere protagonisti della propria vita. Lo capiremo? Basterà?