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Gli anni delle relazioni

Non servono cellulari, ma educatori di spessore e valore, che diano il tempo di guardarsi negli occhi e anche dentro
28/09/2023

Abbiamo scoperto questa cosa dal cellulare di nostro figlio che mai avremmo pensato, quindi, abbiamo pensato di toglierglielo fino a che...”

“Noi siamo pro cellulare dalla prima superiore in poi, ma nostra figlia non ci parla più perché fa le medie ed è l’unica a non averlo e così rischia di essere esclusa dai compagni e di perdere in termini di socializzazione...” . Oggi mezzo tormentone è costituito da genitori che tolgono il cellulare perché il pargolo non socializza più in quanto perennemente incollato al telefono e l’altro mezzo tormentone (no, meno di mezzo) da genitori convinti di creare dei disadattati sociali per la scelta opposta.

Insomma, chi l’ha concesso presto o, meglio, chi se l’è fatto carpire presto, sta combattendo perché il figlio alzi la testa, drizzi la schiena, guardi negli occhi, dica qualcosa, faccia qualcosa...

Gli altri pochi, invece, resistono stoicamente sentendosi terribilmente in colpa (“Non sarà che resterà indietro rispetto ai compagni su qualche competenza informatica?”) e, quando finalmente mollano, scoprono che la battaglia è solo passata alla fase due.

Sì, con l’arrivo di Internet alla fine del secolo scorso e l’incursione del Covid appena svoltata, la vita sociale delle persone si è di fatto trasformata in “Mi iscrivo in palestra, a scacchi, a canto... per trovare delle persone, speriamo più o meno della mia età, con cui iniziare un’amicizia e magari più avanti qualcos’altro”. La socializzazione come cantata dagli 883 “...gli anni di Happy days e di Ralph Malph, gli anni delle immense compagnie, gli anni in motorino sempre in due ... gli anni di qualsiasi cosa fai, gli anni del tranquillo siam qui noi...” sembra superata per sempre, come se le persone e soprattutto le giovani generazioni non avessero più bisogno di incontri, esperienze, scoperte e relazioni che possano durare anche tutta la vita. Ogni tanto si accende una lampadina, apparentemente strana, quando si legge che le scuole blasonatissime non contemplano mai l’uso del cellulare e dei social a scuola e a casa. E nessuno si annoia o protesta.

E d’altra parte è evidente la correlazione divano più cellulare uguale poche esperienze, che significa zero passione per qualcosa; quindi, ragazzi che non sanno cosa fare adesso e in futuro perché non hanno conosciuto nulla che piaccia al punto da progettare e mettersi in gioco.

Buone notizie: ho letto anche di qualche scuola, meno blasonata, ma molto coraggiosa, che ha iniziato a portare gli studenti via per qualche giorno in un progetto accoglienza in cui sia bandito Internet, per creare un imprinting relazionale prima di ogni altra attività didattica. Non in una gita costosa, per carità utile anche quella, ma in un camposcuola con laboratori di comunicazione, condivisione e inclusione, attività pratiche e all’aria aperta e l’intervento di un paio di persone significative che possano infiammare a una causa o ispirare una passione.

Servono educatori di spessore e valore per giornate intense che diano il tempo per guardarsi negli occhi e anche dentro.

L’alternativa resta il tormentone: dare o non dare il telefono, controllarlo o non controllarlo, quando toglierlo e quando ridarlo...

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