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La Via di S. Francesco

03/08/2023
Elisa Adamo ci accompagna nelle fatiche e nello splendore del pellegrinaggio che l’ha portata a piedi da Città di Castello ad Assisi, dove in Basilica, ha partecipato alla messa del pellegrino, portando con sé le preghiere che amici e parenti le avevano affidato

Aria condizionata al massimo. Mi accoccolo sul sedile del treno, cercando di ripararmi il più possibile dal freddo. Sto seduta vicino al finestrino, il mio posto preferito da sempre: il mondo fuori scorre veloce e in un attimo ho la sensazione di essere piccola e insignificante. Mi guardo intorno: osservo il mio zaino che si trova sul sedile di fronte a me. La conchiglia conquistata alla fine del pellegrinaggio di Santiago de Compostela che ho affrontato lo scorso anno, troneggia sopra i miei pochi effetti personali e mi infonde coraggio. D’altronde, ogni volta che si parte per un nuovo cammino, si ha sempre un po' di timore. Mi aspettano moltissimi chilometri a piedi, più di cento, sulla Via di San Francesco.

La meta è Assisi, ma il cammino per raggiungerla è altrettanto importante. Saranno giorni di silenzio, fatica, riflessione, ascolto, incontro, preghiera e tanta, tantissima meraviglia.

Stringo tra le mani una piccola agendina azzurro cielo: al suo interno le preghiere di tanti amici e conoscenti. Mi sono state affidate per essere portate ad Assisi. Le tengo con me come il più prezioso fra i tesori.

Città di Castello-Pietralunga-Gubbio-Valfabbrica

Ho dormito poco. L’adrenalina mi ha accompagnato durante la notte. Sono le sei del mattino e la città è ancora addormentata. Mi dirigo in chiesa per cercare il primo timbro da apporre sulle mie credenziali: quello che certifica l’inizio del mio percorso.

Tutto chiuso. A un certo punto però si avvicina una signora: attratta dal mio zaino va a colpo sicuro “Buon cammino pellegrina”, mi dice con un sorriso cordiale e spontaneo. Le chiedo dove poter fare il timbro. Facciamo qualche metro e apre la serranda di una piccola bottega che altro non è che l’info point. “Te lo faccio io”, afferma con complicità. Ringrazio, la saluto e le volto le spalle per andarmene. “In bocca al lupo - mi dice -. Questa è una delle tappe più dure del cammino”.

Esco dalla città. Il cielo è grigio e l’aria è immobile. Tutto è silenzio. Solo i grilli accompagnano i miei passi. La salita si fa subito sentire. Cammino un passo alla volta: un movimento lento e costante. Non voglio farmi tradire dall’entusiasmo, bruciando subito le energie fisiche e mentali. E’ davvero molto dura. Ma dopo ogni salita si aprono davanti a me scenari incantevoli: su tutti i campi di girasole che come un oceano dorato, mi rallegrano il cuore e mi rinfrancano lo spirito.

Aveva ragione la signora: il percorso è molto faticoso. Non solo fisicamente, a causa della distanza e dei saliscendi ripidissimi, ma anche mentalmente: il paesaggio è meraviglioso, ma è sempre uguale. Ho la sensazione di camminare tanto e di non spostarmi di un metro. E ripenso a quante volte mi capita nella mia umana esistenza.

Punti d’acqua: inesistenti. Pellegrini pervenuti: zero! Ma quando sono sul punto di cedere, scorgo in lontananza il rifugio di Pieve de Saddi. Non c’è anima viva, ma un punto d’acqua sì. E questo è quello che mi basta. Dopo qualche minuto di riflessione e riposo, mi rimetto in cammino.

“Non ce la faccio più”. Manca solo un chilometro all’ostello di Pietralunga che mi accoglierà per la notte. Un’anziana signora se ne sta seduta sulla veranda della sua casa, alle porte del paese. Mi saluta con trasporto e vedendomi in difficoltà, mi offre acqua, miele e zucchero. Chiacchieriamo un po’ di lei, della sua vita e della sua famiglia. Novant’anni di sacrifici, di gioie, ma anche di dolore. Ha perso una figlia e la sofferenza è profonda “Signora Adele, la porto con me ad Assisi.” Si commuove e mi accarezza le mani. “Salutami Francesco” mi urla, mentre mi allontano.

La mattina dopo ogni singolo muscolo del mio corpo implora ulteriore riposo. Ma mi rimetto in marcia: sono sicura che muovendomi il dolore passerà. Gubbio mi aspetta.

La giornata è splendida. Il sole bacia le colline intorno a me e assaporo quel dipinto naturale come l’opera più riuscita del più grande Artista di tutti i tempi.

Fa davvero caldo. Boccheggio. In un attimo la mia mente vaga e si connette alle centinaia di migranti che tentano ogni giorno di arrivare in Italia. Sono pellegrini anche loro: si mettono in viaggio con fede e speranza, ma la loro meta è incerta. Mi lascio guidare dal cuore. Quando il corpo ti abbandona, non c’è altro da fare.

Gubbio è un piccolo gioiello. Assaporo ogni centimetro di pietre e sassi. Incontro per la prima volta dei pellegrini. Ci scambiamo le nostre storie ed è incredibile come io affidi il mio sentire più profondo a persone appena conosciute. Eppure è facile. Quando ti incontri durante un’esperienza del genere, sai che non è mai un caso, ma fai parte di un disegno comune che per un soffio di vita, ti porta a incontrarti.

Prendo una piccola funivia fino al santuario di Sant’Eubaldo, patrono della città. Mi inebrio di silenzio e pace. Di fronte all’altare una scritta “La verità ci farà liberi”. Prego. Piango.

Trentotto chilometri per arrivare a Valfabbrica. Mi scoraggio quasi subito, ma appare, come un’oasi nel deserto, l’eremo di San Pietro in Vigneto. Entro e vengo accolta da alcune donne che fanno parte della confraternita di San Giacomo, presente anche a Roma e Gerusalemme, che gestiscono l’accoglienza. Hanno un’aurea potente che aleggia intorno alle loro figure. Mi fanno sedere e mi offrono acqua, caffè e frutta coltivata nei loro campi. Mi invitano a entrare nella cappella per una preghiera. “Sono in canottiera e pantaloncini corti” rispondo loro “Non mi sento di entrare così”. Una di loro, la più anziana mi guarda e con dolcezza mi risponde: “Il Signore vedrà di cosa è vestito il tuo cuore”. Mi sento nuovamente a casa e la mia sensibilità riemerge con la forza di un uragano. Ci abbracciamo come se ci conoscessimo da sempre e mi congedo. Appena muovo il mio primo passo sento le campane suonare a festa “Buon viaggio pellegrina”.

Le lacrime mi accompagneranno nel resto della tappa.

Mancano pochi chilometri: solo sedici per arrivare ad Assisi.Il tempo è dalla mia parte. Il cielo è velato, ma sereno. Le gambe sembrano essersi abituate ai ritmi di cammino. La mia schiena un po’ meno e ancora una volta penso a quante cose superflue mi sono caricata nello zaino. Me ne sarebbero bastate ancora meno e ho ulteriore conferma di quanto il pellegrinaggio sia metafora lampante di questa nostra vita terrena. Ci carichiamo di cose inutili: si riduce tutto a una questione di scelte.

In lontananza vedo una panchina posizionata di fronte a una fontana. Il mio ristoro è lì. Mi siedo e mi godo l’aria fresca che mi solletica la schiena bagnata. Un brivido mi attraversa il corpo: ho quasi freddo. Vedo avvicinarsi in lontananza un anziano signore. Pantaloni al ginocchio, canotta bianca e la camicia, stirata di tutto punto, sorretta come un appendiabiti da dita nodose e segnate dal tempo.

Il volto abbronzato è attraversato da solchi profondi, come la corteccia di un albero secolare che ha attraversato le tempeste più impetuose. L’anziano si avvicina e mi sorride. “Buon cammino pellegrina”. Poche parole che mi caricano e mi fanno sentire, ancora una volta, nel posto giusto anche se lontano da casa. L’uomo si abbevera alla fontana e mi suggerisce qualche variazione del percorso. Poi mi incoraggia “Ti aspetta la parte più bella. Manca poco. Non mollare”, mi dice. Due parole che ristorano il mio spirito. Riparto. E ancora sali, scendi e panorami incredibili. Controllo la mia cartina: mancano 8 chilometri. Sembrano pochi, ma in realtà, se li percorri a piedi, sono ancora troppi. La strada è infinita, polverosa e sconnessa. Un capriolo mi attraversa la strada. Mi osserva per qualche secondo e prosegue la sua elegante corsa verso l’infinito. Lo guardo correre lontano ed è li che la vedo. La Basilica di San Francesco è proprio di fronte a me. Gli occhi mi si riempiono di lacrime. Accelero il passo. Nulla è più come prima. Ultima salita. Mi tornano in mente le parole di papà quando, nelle nostre camminate in montagna, mi diceva “Elisa, con il tuo passo. Un metro alla volta, senza strafare. Lassù lo spettacolo ti ripagherà di tutto”. Sento la sua mano eterea appoggiarsi sulla mia spalla e con le ultime energie rimaste mi appresto a conclude il mio cammino. Attraverso l’arco di pietra che delimita i confini della città di Assisi. Non sto più camminando. Saltello di gioia. Arrivo sotto la Basilica e mi inginocchio. Piango e rido. Tutto intorno scompare per qualche minuto. Poi corro incontro a Davide che mi ha affiancato in questo immenso viaggio fisico e spirituale: una presenza silenziosa, accogliente, gioiosa e tenace. Il compagno di viaggio ideale, senza il quale tutto sarebbe stato comunque possibile, ma non avrebbe avuto lo stesso sapore. “Ce l’abbiamo fatta!”, urlo con infinita gratitudine, prima di sedermi accanto a lui, in silenzio all’ombra della Basilica che, come una madre, ci abbraccia amorevolmente.

Testimonium e la messa del pellegrino

Entro nel piccolo ufficio dedicato alla consegna dei Testimonium. La funzionaria mi accoglie con un sorriso, controlla i miei timbri e prepara le carte. Mi accorgo dall’accento che non è italiana. Il suo sguardo è malinconico. Le chiedo di lei. Arriva dalla Spagna e, dopo la morte tragica del marito, si è messa in cammino ed è arrivata ad Assisi. “San Francesco mi ha aiutato nel periodo più buio della mia vita. Sono arrivata qui e non me ne sono più andata”. Ora è una volontaria e si è messa a servizio dei frati francescani.

Indosso il Tau, la croce francescana, al collo e ci salutiamo. Entro in chiesa e mi dirigo davanti alla tomba di san Francesco. Appoggio la mia testa al muro di pietra e tiro fuori la mia agendina azzurro cielo. Ora il mio cammino è compiuto.

Durante la messa del pellegrino siamo un centinaio. Non conosco nulla dei miei compagni di viaggio, eppure mi sento insieme a dei fratelli. Qualcuno arriva in ritardo, con i piedi distrutti e le gambe sporche di terra. Altri si commuovono. E alcuni stanno inginocchiati per l’intera durata della celebrazione.

Mi sento in armonia con il creato. La messa è conclusa. Il frate celebrante si avvicina al microfono un’ultima volta e legge a voce alta i nomi dei pellegrini presenti. Sento il mio e finalmente il cuore canta “Dolce è capire, che non son più solo, ma che son parte di una immensa vita, che generosa risplende intorno a me, dono di Lui e del suo immenso amore”.

Elisa Adamo

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