Sentiamo anche il dovere di segnalare la difficile e a volte critica situazione in cui versa oggi nel...
Pallavolo: intervista al campione del mondo Fabio Balaso

Nel silenzio che precede una battuta, mentre gli occhi di tutti cercano chi segnerà il prossimo punto, c’è chi lavora perché quel punto non arrivi. Fabio Balaso è il libero della Lube e della nazionale italiana di pallavolo, il giocatore che difende, riceve, ordina. Non attacca mai, ma costruisce tutto. In un’epoca che esalta l’apparenza, il suo ruolo è un inno alla discrezione e alla precisione. Campione del mondo e d’Europa, Balaso incarna una virtù rara nello sport moderno: la forza di chi non deve brillare per essere indispensabile. E indispensabile lo è stato, visto il suo palmares invidiabile: tre campionati, tre coppa Italia, una Cev Champions League, un campionato mondiale per club; a livello nazionale, solo per citare i traguardi maggiori: due mondiali, l’ultimo conquistato a settembre nelle Filippine e un campionato europeo; più volte è stato indicato come miglior libero delle competizioni a cui ha partecipato. Abbiamo incontrato Fabio Balaso, conosciuto quando ancora sedeva sui banchi di scuola del Pertini di Camposampiero, al tributo che il suo paese, Trebaseleghe, ha voluto offrirgli quale fresco campione del mondo, sabato 4 ottobre. Dopo i saluti della sindaca Antonella Zoggia e con la regia della vicesindaca, Francesca Pizziolo, un palazzetto dello sport al completo ha tributato a Balaso il meritato applauso, ricordando i suoi esordi qui, con la Silvolley. Di seguito Balaso, medaglia d’oro al collo, con semplicità si è sottoposto al rito delle foto e degli autografi, soprattutto a favore di giovani e giovanissimi tifosi. E poi con grande disponibilità ha volentieri risposto ad alcune nostre domande.
Fabio, sei considerato uno dei più forti liberi al mondo; un ruolo sottovalutato da chi guarda la partita dal divano?
Più che sottovalutato, direi che da casa e in televisione non si coglie tutto il lavoro che c’è dietro, ed è un lavoro duro; l’allenamento e il provare e riprovare con costanza, consapevole che anche il più piccolo particolare, anche le azioni meno spettacolari e più semplici, anzi molto spesso proprio queste, non sono mai scontate né banali.
Ti capita mai di prevedere un’azione prima che accada, o è solo velocità di riflessi?
In realtà è un misto di tutte e due le cose. Molto spesso si intuisce come si svilupperà l’azione da come l’avversario è in campo, dalla posizione del corpo, da come fa partire il braccio per la schiacciata oppure per servire il compagno. Piccole cose, a volte davvero minime, ma che fanno “scattare” verso una posizione o l’altra, verso una scelta o un’altra. Poi, è vero che delle volte si intuisce un attimo prima dove potrebbe finire la palla... E allora succede l’intervento salva punto o spettacolare.
Hai mai effettuato una ricezione perfetta che però nessuno ha notato?
Ah beh... Chi lo sa (e sorride), mentre giochiamo non ci rivediamo né sentiamo la telecronaca. Io, in ogni caso, so di dare e di voler dare sempre il massimo, che sia sottolineato oppure no.
Come ti senti prima della partita sapendo che non sarai tu a fare i punti, ma comunque puoi determinare il risultato?
Non è tanto il fatto che non sono io a fare il punto e, quindi, non sono io in prima pagina; ma è piuttosto la consapevolezza che il punto che viene fatto è di tutta la squadra: di chi difende, di chi occupa bene lo spazio, di chi serve e di chi mette le palla a terra. E sapere di dare il proprio contributo è ugualmente gratificante.
Da un anno sei capitano della Lube... Sei più un leader silenzioso come il tuo modo di fare sembra suggerire o ti fai anche sentire?
Per mio carattere tenderei a essere un leader che di certo non alza la voce. Ma, se vedo cose che non vanno, so anche farmi sentire. In particolare un capitano deve essere tale nei momenti di difficoltà, sia della squadra sia del singolo compagno. Io cerco di capire di incoraggiare e incitare a non mollare.
C’è un pensiero, una frase, una parola che ti ripeti nei momenti difficili in campo?
In realtà no. Ma nei momenti più tesi o di difficoltà cerco di respirare a fondo e lentamente per calmare l’adrenalina e, quindi, essere più lucido e pronto nello sviluppo dell’azione.
In Nazionale chi è il compagno che più ti fa ridere?
Sicuramente il compagno che più si adopera per l’atmosfera del gruppo è Riccardo Sbertoli, davvero importante per creare un clima sereno e anche sorridente dentro e fuori dal campo.
Cosa è scattato, nel recente mondiale vinto nelle filippine, dopo la sconfitta col Belgio?
Eh, la partita nel girone col Belgio non è stata una grande prova... Noi maluccio e il Belgio, invece, ha fatto una grande partita. E immediatamente sono partite critiche, anche immeritate. Sicuramente questa è stata una molla che ci ha fatto reagire. Ma più importante è stata la capacità di rivederci e capire gli errori che abbiamo fatto e cosa correggere. E poi, in un certo senso, abbiamo anticipato gli scontri “da dentro e fuori” già contro l’Ucraina, quindi con una carica in più. E dobbiamo tenere conto che il livello, in generale, si è alzato davvero tanto. Non è una frase fatta, ma partite semplici non ce ne sono neanche quando parti da favorito. Inoltre, siamo stati stimolati da quanto realizzato dalla nazionale femminile (che, per inciso, reputo di gran lunga la più forte nel panorama mondiale). E, poi, l’unione del gruppo ci ha portati al bis mondiale.
Come definiresti, in una parola, la nazionale maschile e perché?
Risposta immediata: incredibile! Un gruppo che forse non partiva favoritissimo, ma che ha saputo creare una coesione importante, dove tutti hanno lottato e dato il proprio contributo, andando ogni volta un po’ più in là. E per finire c’era anche il fatto che volevamo dare una soddisfazione a Daniele Lavia che, se non avesse avuto l’infortunio prima di partire, sarebbe stato con noi...
E dopo la pallavolo, stai già pensando a qualcosa?
Ancora non ci ho pensato, per lo meno seriamente. È chiaro che dopo tanti anni passati in palestra e nei campi dei palazzetti, l’idea di rimanere nell’ambiente c’è. Come allenatore? Perché no? Ma ancora è un orizzonte che sento lontano.
Ultima cosa: le olimpiadi 2028?
(Sgranando gli occhi, Fabio sorride) Eh, le Olimpiadi. Tra di noi non ne parliamo proprio, per scaramanzia. Certo è un traguardo che tutti noi vorremmo raggiungere, con tutte le nostre forze. Ma non sarà facile. Intanto sono tra tre anni e molte cose possono cambiare. E poi, come dicevo prima, il livello si è molto alzato; e come bicampioni del mondo partiamo con fortissime pressioni e attese, senza dimenticare che l’oro olimpico non l’abbiamo mai vinto, pur meritandolo, con Nazionali italiane maschili fortissime... Ma sperare, perché no?