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Intervista a Bebe dal cuore d'oro

Beatrice Vio ha stupito il mondo non solo per i sorprendenti risultati sportivi, ma per il suo sorriso e la sua forza, che è anche forza morale. Da qualche giorno è testimonial della campagna mondiale per
la prevenzione della meningite. L'abbiamo intervistata di ritorno dalle Paralimpiadi.

22/09/2016

L’oro di Rio nel fioretto alle Paralimpiadi è stato il giorno più bello della tua vita, ma hai mai attraversato momenti difficili dopo quello che ti è successo? La domanda è a bruciapelo, senza giri di parole, ma lei, Beatrice “Bebe” Vio, campionessa paraolimpica (un oro nel singolo e il bronzo nella prova a squadre di fioretto) non si tira indietro. “Sì, ci sono stati e ci sono momenti difficili. Come per tutti: viviamo momenti felici ed altri tristi. Ma io ho fatto un calcolo banale: solo il 4 per cento di persone, a cui capita quello che ho avuto io, sopravvive. Perciò vivere e capire che è bella la vita è già un dono. Se poi anche quel 4 per cento che sopravvive rimane depresso è la fine. Perciò mi conveniva darmi da fare”.
Anche in una giornata convulsa, tra mille impegni, con il rientro a Roma, sulla cresta dell’onda in cui tutti la vogliono e tutti la cercano, Bebe trova il tempo, al telefono, di dedicarti qualche minuto. Da qui capisci che il trionfo brasiliano, non l’ha cambiata. E’ sempre la stessa, solare, disponibile, una carica di entusiasmo.
Cambierà la tua vita?
Sì, nel senso che ho l’obiettivo di essere più autonoma, andare a vivere da sola, e la scelta dell’università a cui avevo deciso di pensare da dopo le Paraolimpiadi. Ho vinto una borsa di studio per entrare in “Fabrica” del gruppo Benetton e di Oliviero Toscani. La cosa bella di questa esperienza è che si incontrano ragazzi, studenti, da tutto il mondo e si parla tutti i giorni, dalla mattina alla sera, in inglese. Oppure iscrivermi a Milano a Scienze della Comunicazione.
Nei momenti difficili, di cui parlavamo prima, cosa ti aiuta?
Anzitutto la mia famiglia, che è molto unita un punto fermo. Lo sport è stato decisivo. Praticavo la scherma ben prima della malattia. Riuscire a fare quello che facevo prima, pur magari in modo diverso, è fondamentale. Ho capito che ci si può realizzare, sportivamente e umanamente, anche con delle protesi. E poi la fede e lo scoutismo, sono un’altra componente che è stata, ed è ancora essenziale, per me. Ho dovuto lasciare, circa due anni, lo scoutismo, ma io mi sento ancora scout dentro. Come per lo sport, sono quelle esperienze che ti danno una sensibilità particolare.
Ci puoi raccontare le emozioni vissute in questa spedizione azzurra?
Devo ancora realizzare a pieno quello che è successo. Lo farò nei prossimi giorni. Quello che, intanto, posso dire è grazie a Luca Pancalli, per l’onore che mi ha dato di essere la portabandiera degli azzurri nella cerimonia di chiusura delle Paraolimpiadi.
In queste ore, gira la campagna pubblicitaria che sensibilizza a vaccinarsi contro la meningite con la tua foto. Perché l’hai fatto?
Beh, dopo quello che mi è successo, era il minimo. Come scrivo su Instagram, solo la mitica Anna Geddes avrebbe potuto trattare con tanta naturalezza e semplicità un tema così importante e difficile. Ed io sono veramente fiera di poter sostenere in prima persona la campagna mondiale per la prevenzione della meningite. Quindi se posso darvi un consiglio, a tutte le mamma ed ai papà di questo mondo, fate il vaccino ai vostri bimbi!
Su cosa vorresti impegnarti adesso?
Con la mia associazione siamo impegnati a donare ausili e protesi a ragazzi e ragazze che, nonostante alcune difficoltà desiderano fare sport. Un’associazione che inizialmente è servita a me per poter praticare scherma, ma che poi si è allargata e solo successivamente abbiamo compreso quale è la valenza per tanta gente. Seguiamo una ventina di atleti all’anno, ma abbiamo una marea di richieste. Ci vogliono fondi però perché specie nel periodo della crescita protesi e ausili hanno bisogno di essere sostituiti molto frequentemente e i costi sono elevati. Ma ne vale davvero la pena.
Non tutti hanno la possibilità di realizzarsi, come tu sei riuscita nello sport?
Attenzione: realizzarsi nello sport non vuol dire necessariamente vincere medaglie. Vuol dire stare in gruppo, divertirsi, e questo è alla portata di tutti. Certo gli ausili per fare sport sono molto costosi. E la mia associazione nasce proprio per questo. Dare braccia e gambe a chi non li ha.   
Prima delle Paraolimpiadi il suo sogno era la partecipazione a Rio. Ora quale è?
La presidenza del Coni nel 2028.
Complimenti campionessa, dal cuore d’oro. E l’ultima risposta non è uno scherzo.

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