Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
La prima udienza di papa Leone XIV, in continuità con Francesco

“È Dio a muovere la storia, anche se talvolta ci sembra assente o distante”. Ad assicurarlo, evocando il celeberrimo quadro di Van Gogh che raffigura un seminatore al tramonto, è stato Leone XIV, che nella catechesi della sua prima udienza generale, mercoledì 21 maggio, di fronte ad una piazza San Pietro affollata di fedeli nonostante la piovosa giornata romana, ha ripreso il ciclo di catechesi giubilari, sul tema “Gesù Cristo nostra speranza”, iniziate da papa Francesco, annunciando che sarà questo il tema per tutto l’anno giubilare. La prima udienza di papa Prevost è coincisa con il trigesimo di Bergoglio, e al suo predecessore il Pontefice ha dedicato le sue parole finali: “Non possiamo concludere questo nostro incontro senza ricordare con tanta gratitudine l’amato papa Francesco, che proprio un mese fa è tornato alla casa del Padre”.
Durante i saluti, i riferimenti alla tragica attualità, a cominciare dalla situazione nella striscia di Gaza, definita “sempre più preoccupante e dolorosa”. “Consentire un ingresso dignitoso agli aiuti umanitari e porre fine alle ostilità, il cui prezzo più straziante è pagato dai bambini, dagli anziani e dalla persone malate”, l’appello. “In un mondo diviso e ferito dall’odio e dalla guerra siamo chiamati a seminare la speranza e a costruire la pace!”, ha chiesto il Papa ai fedeli di lingua portoghese, ribadendo, in questo mese mariano, l’invito della Vergine di Fatima: “Pregate il rosario ogni giorno per la pace”. “Insieme a Maria, chiediamo che gli uomini non si chiudano a questo dono di Dio e disarmino il loro cuore”, l’invito. “Recitare il Santo Rosario, mezzo efficace per ottenere la vera pace nei nostri cuori”, la raccomandazione rivolta anche ai fedeli di lingua araba.
“Ogni parola del Vangelo è come un seme che viene gettato nel terreno della nostra vita”, ha spiegato il Pontefice, secondo il quale “la parabola del seminatore parla della dinamica della parola di Dio e degli effetti che essa produce”. “La parola di Dio feconda e provoca ogni realtà”, ha proseguito, sottolineando che il terreno dove il protagonista della parabola getta il seme “è il nostro cuore, ma è anche il mondo, la Chiesa”. Un seminatore, alquanto originale, esce a seminare, ma non si preoccupa di dove cada il seme. Getta i semi anche là dove è improbabile che portino frutto: sulla strada, tra i sassi, in mezzo ai rovi”. “Noi siamo abituati a calcolare le cose – e a volte è necessario –, ma questo non vale nell’amore!”, il monito. “Il modo in cui questo seminatore sprecone getta il seme è un’immagine del modo in cui Dio ci ama”, ha osservato il Santo Padre.
“Dio è fiducioso e spera che prima o poi il seme fiorisca”, ha garantito papa Prevost: “Egli ci ama così: non aspetta che diventiamo il terreno migliore, ci dona sempre generosamente la sua parola. Forse proprio vedendo che Lui si fida di noi, nascerà in noi il desiderio di essere un terreno migliore. Questa è la speranza, fondata sulla roccia della generosità e della misericordia di Dio”.
“In quale situazione della vita oggi la parola di Dio ci sta raggiungendo?”, la domanda finale ai fedeli: “Chiediamo al Signore la grazia di accogliere sempre questo seme che è la sua parola. E se ci accorgessimo di non essere un terreno fecondo, non scoraggiamoci, ma chiediamo a Lui di lavorarci ancora per farci diventare un terreno migliore”.