Sentiamo anche il dovere di segnalare la difficile e a volte critica situazione in cui versa oggi nel...
La missione del Movimento europeo di azione non violenta in Ucraina


Michela Piccoli, dell’Azione cattolica di Bassano del Grappa, è ancora frastornata da tutte le emozioni vissute in questo breve, ma molto intenso Giubileo della speranza nella martoriata Ucraina. Partita il 1° ottobre e rientrata lunedì 6, in piena notte, è salita agli onori della cronaca, insieme agli altri 110 italiani partecipanti del Mean, Movimento europeo di azione non violenta (una decina i veneti), perché il loro treno di rientro in Polonia si è trovato sotto il massiccio attacco russo a Leopoli (5 vittime in città). Per loro tanto spavento, proprio quando avevano cominciato a rilassarsi, avendo lasciato Kharkiv e Kiev, più vicini al confine russo. Alla missione hanno preso parte 35 associazioni, tra cui Azione cattolica, Anci, Movi, Masci, Agesci, Base Italia, Fondazione Gariwo, Piccoli Comuni del Welcome, Reti della carità e Progetto Sud e anche una giornalista del Sir, Maria Chiara Biagioni, che quotidianamente ha informato sugli incontri avuti con la popolazione ucraina.
“La notizia del bombardamento non lontano dal nostro treno ha scatenato i media, perché la guerra fa più notizia della nostra missione di pace”. Noi, a dire la verità, ci eravamo già accordati per l’intervista, per capire l’importanza di essere presenti in un luogo che, da 13.200 giorni, vive sotto missili, bombe, droni, rumori di contraerea, allarmi continui.
Perché, Michela, ha preso parte a questa missione?
Io sono neofita in questo gruppo, ma l’Azione cattolica aderisce a questa iniziativa che ha già fatto 14 missioni in terra ucraina. Ho risposto positivamente alla proposta fatta da un altro aderente all’Ac. L’obiettivo è quello di costituire dei corpi di pace europei e, prendendo spunto dall’anno giubilare, fare il nostro Giubileo della speranza in Ucraina. Non abbiamo potuto partecipare in più di 100, per ragioni di sicurezza e logistiche. È un impegno anche trovare un posto dove dormire, dato che molti alberghi sono chiusi o sono stati bombardati.
Ci racconta cosa e chi ha visto in questi giorni?
Nel percorso fatto, da Kiev e Kharkiv, abbiamo avuto molti incontri che avevano lo scopo di creare legami forti con la società civile, molto attiva in Ucraina. In piazza Maidan, a Kiev, siamo stati accolti dal nunzio apostolico, mons. Visvaldas Kulbokas, importante presenza per una popolazione che si sente isolata, che non sente più l’appoggio umano. Lui ci ha detto che ripone “grande fiducia nei corpi civili. Perché la guerra non si risolve con mezzi politici né tanto meno con i mezzi militari. Ci vuole un’idea. E voi non siete una realtà tra tante. Siete una forza di umanità”. È vero che è cresciuta l’indifferenza rispetto a questa guerra, noi ci siamo abituati alle notizie che arrivato da lì, ma per loro è la quotidianità. Alle 9 un allarme richiama al silenzio e alla preghiera per i soldati al fronte, che loro chiamano difensori, perché è questo che fanno, difendono i loro connazionali. Un silenzio intenso che abbiamo vissuto tra centinaia di persone in una stazione della metropolitana. Abbiamo incontrato in piazza Maidan un’associazione di donne, giovani, che lottano contro la corruzione e controllano i conti del Governo in modo che non ci sia speculazione sui soldi per i soldati, per la difesa. E, poi, si confrontano sulla giustizia riparativa.
Dopo Kiev, siete stati a Kharkiv, al confine con la Russia. Cosa avete trovato?
Una città spettrale. In molti se ne sono andati, spostati nella zona occidentale più sicura o emigrati all’estero. Nel centro storico i palazzi sono stati ricostruiti, non ci sono vetri alle finestre, ma truciolato, per timore di nuovi bombardamenti. I negozi aprono saltuariamente, i ristoranti si sono trasferiti nei bunker, così come le scuole. Lo sport si fa nella metropolitana. Abbiamo incontrato il vescovo latino, mons. Pavlo Honcharuk, e abbiamo visto una Chiesa molto vicina alla popolazione. Ci ha ringraziato per essere lì, “L’indifferenza è il segno di una vita superficiale. L’amore non è mai superficiale. Ringrazio gli italiani che hanno scelto di essere presenti, di capire, di condividere, di aiutare. Ringrazio tutti coloro che non restano indifferenti”. Anche il vescovo dell’Esarcato greco-cattolico di Kharkiv, mons. Vasyl Tuchapets, ci ha accolto nella cattedrale greco-cattolica, trasformata in “ospedale da campo”, deposito per il cibo, molto del quale arriva dall’Italia e ogni giovedì viene distribuito a circa 2.000 persone. Un momento molto forte è stato la visita al cimitero. Una sterminata bandiera ucraina, con tantissime tombe di bambini.
Anche qui avete incontrato la società civile?
Certo, divisi in gruppi abbiamo incontrato gli studenti dell’Università, bombardata 24 volte e sempre ricostruita. Altri hanno incontrato i sindaci della zona per programmare futuri gemellaggi, e altri ancora imprenditori per promuovere la ricostruzione. Siamo stati nel teatro di Kharkiv. L’organista, con uno strumento impressionante per la sua bellezza ci ha suonato alcune arie, emozionanti perché percepivi il loro orgoglio, la voglia di riscattarsi e di ricominciare a vivere. È un Paese che ha bisogno di sentire l’Europa vicina, e, per loro, entrarci, significa sicurezza. Io stessa credo nell’Europa e credo che insieme possiamo fare bene. La nostra presenza in Ucraina ha significato riaccendere una speranza che rischia di non esserci più. Ma se non viviamo bene tutti, tutti portiamo dentro di noi un pezzo di male, di tristezza, di morte.