Sentiamo anche il dovere di segnalare la difficile e a volte critica situazione in cui versa oggi nel...
Monastier, pellegrinaggio giubilare a Pralongo, con testimonianze di speranza dal mondo del carcere



Un cammino di speranza significativo il pellegrinaggio che la comunità parrocchiale di Monastier ha deciso di vivere domenica scorsa, 12 ottobre, dalla chiesa abbaziale fino al santuario giubilare della Madonna Nera di Pralongo. Una messa a tappe, iniziata in chiesa abbaziale a Monastier, che, poi, si è conclusa in santuario.
Durante l’itinerario, ci sono state alcune testimonianze sulla vita in carcere e sui segni di speranza che ci sono inevitabilmente anche in un luogo di detenzione. È intervenuta per prima, portando la propria testimonianza, una psicologa del carcere di Santa Bona di Treviso; a seguire, una mamma trevigiana il cui figlio è stato incarcerato; quindi un detenuto che ha quasi finito di scontare la sua pena e si sta riabilitando nel mondo del lavoro. Infine, hanno parlato gli scout del Clan/Fuoco Agesci Monastier I che, durante il loro ultimo anno associativo, hanno realizzato un Capitolo, ossia un approfondimento, sul sovraffollamento all’interno delle carceri italiane.
Il pellegrinaggio giubilare nel segno della speranza, guidato dal parroco di Monastier, mons. Luigi Dal Bello, insieme a tutti i gruppi della parrocchia, è stato senza dubbio un’esperienza forte e incisiva, anche per i più piccoli che frequentano il catechismo. La comunità ha voluto questo momento come apertura dell’anno pastorale, gettando semi di speranza, che andranno curati e fatti germogliare nel tempo.
La psicologa ha raccontato quanto sia fondamentale essere vicini alle persone “con senso di umanità e vicinanza, senza giudicare. Non tutti riusciranno a superare questo momento difficile della loro vita, ma tutti avranno il tempo di pensare al senso della propria esistenza, di porsi delle domande. La speranza è dare un senso, anche quando tutto sembra perduto. Metaforicamente, mi piace paragonare i carcerati ai funghi: crescono in ambiente bui, umidi, nascosti, eppure possono dare risultati straordinari, quanto inattesi”.
La mamma del detenuto ha raccontato la sofferenza feroce dei primi tempi, quando tutti si sono allontanati dalla loro famiglia. “Eppure, dovevamo trovare la forza per non arrenderci e per aiutare nostro figlio a guardare avanti. Come papa Francesco ci ha insegnato, c’è sempre un filo di speranza, in tutte le situazioni; in questo tempo molto duro, abbiamo imparato che non ci si salva mai da soli, bensì insieme. Chi spera in Dio, non rimane mai deluso”.
Poi, c’è il sorriso timido, ma estremamente luminoso, del giovane carcerato, non ancora trentenne, che ha raccontato quanto “sia terribile la perdita della libertà”. Eppure, nonostante tutto, egli si ritiene fortunato, poiché ha incontrato sulla propria strada la rete della solidarietà e del volontariato, fondamentali per il suo percorso di riscatto. “Quello che è successo nel 2019, e che mi ha aperto le porte del carcere, non accadrà mai più. Di questo sono certo”.
Ecco, esiste sempre uno spiraglio di speranza, anche nelle esistenze più dure e complicate. Come credenti, non dovremmo scordarlo mai.