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Arti&mestieri/2: Una vita al ritmo del telaio

Antonella Schiavon, una tessitrice riparata a Giavera del Montello. “Filare con il fuso le lane, tingere le fibre con colori custoditi nel cuore delle piante, intrecciare poi i fili con il telaio, gesti che possono costruire la pace, custodire la Terra, dire la bellezza nel luogo in cui ci è dato vivere, nel tempo che stiamo vivendo”
16/10/2025

A Giavera aprirà i battenti, anche se non si sa ancora quando, la Casa dell’arte, in viale Vittoria, là dove c’era il ristorante Il folletto marino.

Un’idea nata da un imprenditore locale e dalla tessitrice Antonella Schiavon, 65 anni, figlia di un’esule istriana, padre originario di Falzè di Trevignano. Come nei tempi andati pulisce la lana a mano, la carda, la trasforma in filato a tinta unita o sfumato nelle diverse tonalità della natura nelle sue stagioni. Figura immortalata da Van Gogh e da mille artisti nei millenni.

Mentre racconta, Antonella fa girare il fuso in senso orario: le sue dita le forniscono la lana, il filo si forma ed è pronto. Per il ritorto, il filo ritorna al fuso che ruota in senso antiorario.

Il ritmo del telaio è quello del nostro dna, quello del colore, della parola: un’esperienza primordiale. Con lo sguardo proteso all’accoglienza, crea capolavori che partono verso altrove: uno scialle in Giappone, stoffe in esposizioni internazionali, una coperta in Finlandia, un berretto chissà dove.

Ogni parte del vello - quello sotto il collo della pecora è il più pregiato - ha caratteristiche che il tessitore deve conoscere: la lana di montagna è un po’ pungente e allora si fodera, la shetland è grossa uguale, ma non pizzica. Antonella sciorina con naturalezza razze, origini, caratteristiche: arte e cultura, esperienza e passione. Ecco il pelo di bisonte delle pianure americane: 25 grammi per 40 dollari. Questa fibra molto corta reclama un fuso piccolo e sottile.

Lana, lino, cotone, seta tra le sue dita diventano opere d’arte con i motivi più diversi e con differenti gradi di difficoltà. Il ritmo del molino a vento, movimento impresso nel tessuto che pare voler colloquiare, richiede l’aggiunta di quattro licci agli otto già in telaio. Osserva i propri lavori e il pensiero vola al velo nuziale costellato di stelle, da lei realizzato con una tecnica dell’età del bronzo e al poncho del regista Zeffirelli tessuto con alpaca, mohair e pura seta. Eredità da conservare e trasmettere.

La vita di Antonella è ricca di gioie e dolori, conoscenza ed esperienza. In gioventù, a Roma, frequenta un corso intenso di Miriam Bono, esule uruguaiana che tesse stoffe anche per l’atelier Chanel.

Interessante, per carità. Il suo progetto di vita, però, scommette sull’università, che la costringe a fare la bracciante agricola per poter terminare gli studi. Ed ecco il casus fortuitus metterci lo zampino. Antonella viene a sapere che a Castel Gandolfo una signora finlandese costruisce telai. Beh, la curiosità è madre della scienza: in quella casa scopre un mondo. Impara che il tessitore coltiva il campo, segue la stagionatura del lino, ha le pecore, conosce le razze, prepara le tinture naturali, progetta, predispone il telaio e soltanto dopo tutto questo si mette al lavoro.

È la scoperta di un tesoro, dice, venuto dalla storia dell’uomo.

Laureatasi in Pedagogia con una tesi sulla storia della tessitura, fa ricerca all’università e dà vita a un laboratorio di tessitura con sette ragazze, che scelgono, poi, altre strade. Lei sa di possedere un patrimonio da tramandare: dona alcuni telai alle comunità, ne tiene qualcuno e con questo bagaglio fila e tesse un po’ ovunque, dal lungomare di Castiglione della Pescaia, alla Finlandia, fino all’approdo casuale nel 2013 in Val Posina, nelle Prealpi vicentine.

È dicembre, la neve imbianca la valle, il freddo entra nelle ossa e Antonella si scalda camminando e correndo in quell’incanto. E intanto qualcuno le dice che può dissodare un pezzo di terra poco più su.

Attrezzi alla mano, pianta patate, semina fagioli e alleva qualche pecora: non naviga nell’oro, non è quello il suo desiderio, ma i turisti passano di là e se ne vanno con i suoi prodotti. Un bel mattino ode un saluto. Appoggiata alla zappa, attende che l’uomo si avvicini. “Sono contento che qualcuno lavori questa terra - le dice -, io sono il proprietario”. Un brivido, le scuse, non sapevo, lascio. E invece no, non se ne parla proprio, la consideri sua.

Gli appassionati di montagna arrivano, la osservano tessere all’aperto, ammirano l’armonia dei gesti, acquistano e lanciano il passaparola. Riaffiorano le parole dei Profeti: tu non lo vedi, ma un germoglio è già nato. Alleva, tesse, insegna, prepara tinture naturali con fiori, cortecce, foglie, scorze. Altro che cammino impervio di montagna, la sua strada ora è agevole.

Ma ecco lo stop: due giorni di tempo per sgomberare: i locali servono per altra attività. Due giorni. Le parole rotolano una sull’altra. Antonella si fascia il cuore e decide di bruciare tutto, telai, tessuti, lane...

Di nuovo senza dimora e, poi, l’improvvisa offerta di una casetta 300 metri più su. Si continua. Dieci anni più tardi, spinta dal vento delle amicizie, si trasferisce e porta la sua arte a Giavera del Montello.

“Filare con il fuso le lane - dice -, tingere le fibre con colori custoditi nel cuore delle piante, intrecciare poi i fili sedendosi a un telaio... gesti che possono costruire la pace, custodire la Terra, dire la bellezza nel luogo in cui ci è dato vivere, nel tempo che stiamo vivendo”.

Norma Follina

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