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Venezuela, Maduro si auto-perpetua, preoccupazione per il veneziano Alberto Trentini, detenuto da due mesi

Duplice tempesta diplomatica tra Italia e Venezuela. Proprio mentre esplode il caso del cooperante veneziano Alberto Trentini, in arresto da due mesi senza alcuna accusa formale di reato e senza avere sue notizie, Caracas alza il livello della tensione con il Governo italiano e riduce a tre effettivi il personale autorizzato a stare all’ambasciata italiana, limitandone pure la possibilità di movimento
17/01/2025

Duplice tempesta diplomatica tra Italia e Venezuela. Proprio mentre esplode il caso del cooperante veneziano Alberto Trentini, in arresto da due mesi senza alcuna accusa formale di reato e senza avere sue notizie, Caracas alza il livello della tensione con il Governo italiano e riduce a tre effettivi il personale autorizzato a stare all’ambasciata italiana, limitandone pure la possibilità di movimento.

“Sul caso del cooperante Alberto Trentini, dell’ong Humanity e Inclusion, desaparecido da due mesi, si è mossa anche la Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh), che ha emesso una risoluzione urgente chiedendo al Venezuela di fornire informazioni immediate sulle condizioni di detenzione di Trentini – spiega al Sir Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani -. La Commissione ha richiesto che vengano garantiti i contatti regolari con familiari, avvocati e rappresentanti diplomatici italiani, oltre a una valutazione medica immediata e l’accesso alle cure necessarie”. Dal 15 novembre, giorno dell’arresto di Trentini dopo un fermo a un posto di blocco, non si hanno più notizie di lui, neppure l’ambasciatore è riuscito a visitarlo. La famiglia ieri si è appellata al Governo, di fatto mettendo il caso sotto i riflettori della stampa. Un altro episodio del non facile rapporto tra Italia e Venezuela risale al 6 gennaio, prosegue Morsolin, “quando l’uomo forte del regime di Maduro, Diosdado Cabello, ministro dell’Interno e della Giustizia, ha annunciato l’arresto per cinque ore di un italiano, definendolo un ‘mercenario’, entrato in Venezuela via terra dalla Colombia”. Negli ultimi giorni non sono mancate forti critiche del Governo italiano e della stessa presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ma anche da esponenti di maggioranza, alle autorità venezuelane, in occasione del discusso insediamento del presidente, Nicolas Maduro. Il Governo italiano, come molti Paesi e organismi internazionali, non riconosce la vittoria e il successivo insediamento di Maduro, accreditando come presidente legittimo Edmundo González Urrutia, che ha rivendicato la vittoria elettorale. Un passo, quest’ultimo, compiuto anche da altre Nazioni, come Francia e Stati Uniti, ma non formalmente dall’Unione europea, nonostante un voto, in questo senso, del Parlamento europeo.

Alla luce di questi fatti, è arrivata ieri la “ritorsione” diplomatica del Venezuela. Il ministro degli Esteri, Yván Gil, in una dichiarazione sul suo account Telegram, ha scritto: “Ho comunicato, a nome del Governo bolivariano, la decisione sovrana di limitare a tre il numero di diplomatici accreditati in ogni ambasciata, una misura che deve essere rispettata entro 48 ore”. I diplomatici devono anche “avere un’autorizzazione scritta del nostro ministero degli Esteri per viaggiare a più di 40 chilometri da plaza Bolívar a Caracas, garantendo il rigoroso adempimento delle loro funzioni”.

Ha concluso il ministro: “Il Venezuela esige il rispetto della sovranità e dell’autodeterminazione, principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, soprattutto da coloro che sono subordinati alle direttive di Washington”. Un simile provvedimento è stato preso nei confronti di Francia e Paesi Bassi. Conclude Morsolin: “Occorre distinguere tra la critica rispetto a violazioni di diritti umani e libertà democratiche e attacchi frontali in una logica di scontro, estranei al linguaggio diplomatico, come quelli giunti da qualche esponente dell’attuale maggioranza in Italia, dovendo considerare che in Venezuela ci sono migliaia di cittadini con passaporto italiano, oltre alla complessa detenzione di Trentini”.

L’insediamento di Maduro

Tutto questo, avviene nel contesto del nuovo insediamento di Maduro, per il suo terzo mandato come presidente del Venezuela, dopo le discusse elezioni dello scorso 28 luglio. Era irrealistico, del resto, pensare che lo scorso 10 gennaio potesse accadere qualcosa di diverso da quanto è successo. Dunque, Maduro ha giurato, di fronte a una sparuta pattuglia di delegazioni internazionali, di quei pochi Paesi che continuano a sostenere il regime post-chavista, e a due soli capi di Stato, il presidente di Cuba, Miguel Díaz-Canel, e del Nicaragua, Daniel Ortega, mentre hanno preso le distanze da Maduro, anche se con intensità differenti, i Governi di sinistra di Cile, Brasile e Colombia. L’opposizione è scesa, ancora una volta, in piazza, ma senza far pensare neppure per un momento di essere in grado di dare la “spallata” al regime. Un copione già andato in scena più volte, a partire dal gennaio 2019. Edmundo González Urrutia, il candidato presidente che si è sempre proclamato vincitore, aveva annunciato il suo ritorno in Venezuela dall’esilio dove si trova; invece, è rimasto fuori dai confini, in attesa di rientrare e di farsi proclamare presidente “al momento giusto”.

Maduro, la posizione dell’Esercito, le troppo facili profezie dell’opposizione

Ma arriverà, questo momento giusto? Molte speranze vacillano, e a leggere con realismo la situazione è una figura di spicco del panorama ecclesiale e culturale venezuelano, che affida al Sir una riflessione, mantenendo l’anonimato, nella consapevolezza che la repressione del regime di Maduro si sta facendo sempre più opprimente. “Nicolás Maduro – ci spiega la nostra fonte – sta iniziando un nuovo periodo totalmente illegittimo. La comunità internazionale, le organizzazioni internazionali per i diritti umani e le agenzie dell’Onu sono state categoriche su questo punto”.

Ciò avviene, secondo molti analisti, grazie al fatto che il presidente continua a mantenere il controllo delle Forze armate, nonostante il suo basso gradimento tra la popolazione. “In realtà – distingue l’analista – credo che Maduro non abbia l’appoggio delle Forze Armate ma ne abbia, appunto, il controllo. È chiaro che esiste un’élite delle Forze Armate legata alla coalizione dominante, e con molti interessi economici. Ma non si può dire che ci sia un appoggio istituzionale da parte dell’Esercito. Un indicatore, ad esempio, è che prima del 28 luglio, data delle elezioni presidenziali, c’erano più detenuti politici militari che civili. Tutto questo è indice di un grande malcontento interno e di una grande sfiducia nei confronti di chi è al potere. Naturalmente, dopo il 28 luglio la correlazione è cambiata, perché sono stati imprigionati quasi 2.000 civili, soprattutto di settori popolari. Non si può dire, insomma, che le Forze armate sostengano il sistema attuale; all’interno delle Istituzioni c’è uno Stato di polizia che genera molta sfiducia e frammentazione interna. Esiste, dunque, un controllo interno attraverso la denuncia e la sfiducia, ma questo è cosa diversa da un sostegno istituzionale”.

In ogni caso, aggiunge la nostra fonte, “il mondo militare è ermetico, un vaso di Pandora, tutto il sistema di controllo è gestito dai cubani, maestri dell’ingegneria del potere, il governo non ha sostegno sociale, il popolo ha deciso di cambiare, ma c’è un grande controllo sociale attraverso il terrorismo di Stato. C’è anche un’intera costruzione giuridica anticostituzionale che governa il Paese. La legalità è diventata, paradossalmente, ingiusta e incostituzionale, perché è il vestito che il potere ha disegnato per se stesso”.

L’interlocutore è scettico sulle possibilità di incidere da parte dell’opposizione: “Sfortunatamente, l’opposizione rimane scoordinata, ha suscitato false aspettative riguardo a quanto sarebbe potuto accadere il 10 gennaio, e un’ulteriore profezia non realizzata può portare più frustrazione e maggiore emigrazione. Negli ultimi giorni, il Governo ha chiuso le frontiere e all’interno del Paese ci sono molte alcabalas (posti di blocco stradali). La città di Caracas è stata messa sotto controllo, molti veicoli motorizzati senza targa e con cappucci circolano e fermano le persone a piacimento, spesso per estorcere denaro, altre volte per arrestarle arbitrariamente.

La Chiesa anima alla speranza

In tale difficile contesto, la Chiesa continua a essere la spina dorsale che tiene viva la popolazione e alimenta la resilienza della società civile. Già si sono espressi, giovedì scorso, i vescovi del Paese, chiedendo, vanamente, il rispetto della volontà popolare. Ma l’azione della Chiesa si dispiega in tutto il territorio e nelle parrocchie, mantenendo viva la speranza nel futuro. Ne è testimonianza la lettera inviata ai parrocchiani da padre Néstor Briceño, parroco della Trasfigurazione del Signore a El Cafetal, sobborgo nella periferia est di Caracas. “Alcuni psicologi – scrive il parroco nella lettera – analizzano la situazione che abbiamo vissuto negli ultimi giorni e ci invitano a vivere la resilienza rafforzando la speranza che si può ottenere solo con la pazienza. È tempo di concentrarsi più su ciò che è stato raggiunto che su ciò che non è stato raggiunto”. Quindi, l’ulteriore incoraggiamento: “Separazioni familiari, difficoltà economiche e di salute, oltre a una serie di altre calamità, hanno rattristato il nostro popolo. Non possiamo lasciarci sopraffare dal demone della tristezza che cercherà in ogni momento di sconfiggerci”. Da qui, l’esortazione finale, collegata all’anno giubilare appena aperto: “Dobbiamo vivere la nostra storia con un vero senso di speranza”.

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