Sentiamo anche il dovere di segnalare la difficile e a volte critica situazione in cui versa oggi nel...
Successo di critica e pubblico per “Le città di pianura”

“Distruggeranno tutto. Non resterà nulla di questa Regione!”. È l’amaro presagio che, a un certo punto del film, viene scandito e che offre una chiave di lettura di quel che vuol trasmettere l’intera storia.
Il film è “Le città di pianura”, del giovane regista bellunese Francesco Sossai, presente la scorsa settimana al Cinema Edera a Treviso alla sua prima proiezione prima dell’uscita nei cinema italiani dal 2 ottobre, dopo essere stato proiettato e accolto con grande apprezzamento della critica, al Festival di Cannes, nella sezione “Un certain regard - Uno sguardo particolare”.
Ed è davvero particolare per lo stile, al tempo stesso leggero e graffiante, con cui Sossai racconta il Veneto e i suoi abitanti, poiché lui stesso nel corso della presentazione ha spiegato: “Se portandolo in giro per il mondo ho sempre detto che è un film universale che parla a tutti, in realtà, sotto sotto, è un film che ho fatto per noi, qui”.
Il film ha una trama lieve, con tre protagonisti principali: Doriano (Pierpaolo Capovilla) e Carlobianchi (Sergio Romano), due cinquantenni borderline, ormai dediti solo ai bagordi. E nel loro vagabondaggio alla ricerca del posto dove bere “l’ultimo bicchiere”, Carlo e Doriano si imbattono in alcune occasioni “classiche” di divertimento e sballo: un addio al nubilato, una festa di laurea, una serata di balli e musiche country.
Nel loro girovagare incontrano un giovane e timido laureando in Architettura, Giulio (il bravo Filippo Scotti), affascinato dalle opere di Carlo Scarpa, che convincono a unirsi a loro, quasi per una “iniziazione” alla vita come la intendono loro, spensierata e smaliziata.
Proseguono così il loro viaggio, in Jaguar, per le strade del Veneto, dalle città ai paesini, dalle Dolomiti alla pianura, fino alla Laguna di Venezia. È, insomma, un film “on the road”, dove si può riconoscere un quarto protagonista su cui il regista punta l’obiettivo, un “convitato di pietra”, ben visibile a chi vuol vedere: un paesaggio che è stato stravolto, in tanti casi senza soluzione di continuità, deturpato da capannoni industriali, da agglomerati residenziali anonimi oppure da villette in stili bizzarri, senza rispetto per le tante perle architettoniche delle epoche passate, trascurate e pure minacciate. Prigionieri del cemento.
E tra questi flash sul paesaggio stravolto, il film propone anche un passaggio per il passo del Fadalto e la Val Lapisina, con un cammeo sulla sosta dei due alla chiesetta di San Floriano, da oltre trent’anni sovrastata dal surreale viadotto dell’autostrada A27.
È un film dolce-amaro che descrive quasi sottovoce, tuttavia senza compiacimenti, le conseguenze di uno sviluppo economico e sociale avvenuto in modo troppo frettoloso, improvvisato, senza tenere in conto né il prima né il dopo.
“Non c’è mai un’altra volta” è il refrain che riecheggia più d’una volta nel film. Un po’ come il “tutto e subito” che ha caratterizzato gli anni d’oro del miracolo economico nel Veneto.
Di questa crescita fai-da-te disordinata e disorientata della regione sono specchio i due personaggi interpretati nel film da Roberto Citran e Andrea Pennacchi: l’imprenditore tutto preso dal far soldi e dallo sfoggio della ricchezza acquisita; l’operaio che ha il mito della vita facile e vuol far soldi anche lui, anche a costo di rischiare la galera.
“Le città di pianura” raccontate da Francesco Sossai, brutte e insignificanti se non addirittura foriere di noia e infelicità, possono essere, però, tappe utili per riaversi dall’ubriacatura...
Tra queste, una tappa di particolare valore simbolico, verso la fine del film, appare quella alla celebre Tomba Brion di Carlo Scarpa, “calata” nella campagna del piccolo paese di San Vito d’Altivole, dove anche il cemento può rivelarsi efficace per ricollegarsi e restituire valore al passato, come coglie il giovane Giulio.
“Ma non crescete mai voialtri?”, è il rimprovero che l’anziano padre rivolge, con voce rassegnata, ai due cinquantenni gaudenti.
Un interrogativo che suona anche come un invito alla riflessione e all’autocoscienza, rivolto a quanti hanno a cuore il presente e il futuro di questa terra. Praticamente a tutti i veneti.
Il film, forse il migliore uscito quest’anno, è stato visto da quasi 90 mila spettatori, oltre 500 mila euro di incasso, in due settimane di cui, però, solo una con distribuzione nazionale. La colonna sonora è di Krano, un musicista che lavora sulla contaminazione tra il country e la musica tradizionale veneta.